Di Giuseppe Cozzi.
( la prima parte è stata pubblicata in data 10 aprile 2023)
- il
contenzioso in corso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le isole di
Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri.
Per
quanto afferisce alla presenza delle ingenti quantità di petrolio e gas
naturale ovvero di riserve energetiche nella regione, questo è stato motivo di
continua competizione e numerosi conflitti nel corso dei tempi. Tra i più
importanti va ricordato sicuramente la sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni
’80, la cosiddetta “Prima guerra del Golfo” dei primi anni ’90 (quando il
dittatore iracheno Saddam Hussein ha cercato di occupare e impossessarsi del
Kuwait e del proprio petrolio) e la “Seconda guerra del Golfo”, che ha visto
l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. In seguito agli esiti della Prima
guerra del Golfo nel 1990, il Dipartimento della Difesa americano decise di
dislocare una flotta (la Quinta), con sede a Manama (Bahrein), che avesse la
responsabilità sul Golfo Persico, Mar Arabico, Mar Rosso e parte dell’Oceano
Indiano lungo la costa orientale dell’Africa, con lo scopo di proteggere le vie
marittime ed i traffici ad esse collegati.
A seguito
di un periodo di precaria stabilità regionale, nel giugno 2019 la situazione
rischiava di precipitare, quando, nel Golfo dell’Oman, due petroliere andarono
a fuoco e gli Stati Uniti accusarono l’Iran dell’incidente. In tale occasione,
Teheran minacciò la chiusura dello Stretto, che avrebbe comportato ritardi e
costi di spedizione più elevati per i beni trasportati.
Infine,
nel maggio del 2022, la Islamic
Revolutionary Guard Corps (IRGC), la forza militare più potente
del paese, ha sequestrato due
petroliere greche che navigavano nel Golfo Persico. Il sequestro sarebbe stata
una ritorsione per la confisca di una petroliera iraniana avvenuta in acque
greche nell’aprile 2022, che secondo l’Iran sarebbe stata ordinata dagli Stati
Uniti per la violazione delle sanzioni che vietano all’Iran la vendita di
petrolio nei paesi dell’Unione Europea. Le due navi mercantili greche sono
state rilasciate nel novembre 2022 a seguito di un lungo e complicato sforzo
diplomatico.
Nonostante
le ricorrenti tensioni nell’area, il metodo di trasporto più conveniente rimane
ad oggi quello marittimo e lo Stretto di Hormuz resta un’arteria vitale per i
principali esportatori di petrolio nella regione del Golfo, le cui economie si
reggono sugli idrocarburi. Solo qualche anno fa, nel 2018, l’Arabia Saudita ha
inviato circa 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo
Stretto, l’Iraq più di 3,4 milioni, gli Emirati Arabi Uniti quasi 2,7 milioni e
il Kuwait poco più di 2 milioni[1].
Anche per l’Iran è molto importante questa rotta, principalmente per le sue
esportazioni di greggio (peraltro sottoposte a misure di embargo da parte degli
USA che limitano anche gli acquisti di vari Paesi alleati). Il Qatar, che
risulta essere il maggiore produttore mondiale di gas naturale liquefatto, lo
esporta quasi tutto attraverso Hormuz (la restante parte tramite via
terrestre).
Con il
passare degli anni, infatti, la centralità commerciale di questa rotta è
cresciuta sempre più, soprattutto con l’istaurarsi di un collegamento economico
con le più blasonate economie asiatiche. La maggior parte del petrolio che ha
attraversato lo stretto nel 2018 è andato in Cina, Giappone, Corea del Sud e
India. Anche gli Stati Uniti hanno importato quasi 1,4 milioni di barili al
giorno tramite questa rotta e l’Europa ne resta dipendente.
Sebbene
lo Stretto di Hormuz risulta essere il percorso più utilizzato per il trasporto
di greggio fuori dal Golfo, negli ultimi anni gli Stati costieri hanno
costruito diversi oleodotti terrestri per lo stesso fine. E’ il caso
dell’oleodotto saudita, il quale attraverso il Mar Rosso, con una capacità di
circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno
costruito un oleodotto terrestre che può trasportare circa 1,5 milioni di
barili di petrolio al giorno lungo la costa. Infine, è presente anche un altro
oleodotto che può trasportare il petrolio iracheno fino alla costa mediterranea.
L’efficienza di questi sistemi alternativi non risulta essere all’avanguardia e
molte sono le avarie che si riscontrano giornalmente ma, soprattutto, non riescono
a trasportare tutto il petrolio che può essere spostato su una nave.
Negli
ultimi anni poi, si è assistito ad un graduale inserimento di un altro attore
fondamentale nei giochi regionali, la Cina. La strategia di Pechino per il
Golfo Persico si basa sulla costruzione di legami economici con tutti gli
attori regionali, perseguendo un approccio apolitico e neutrale con questi
Paesi. La Cina ha infatti estremo bisogno delle risorse energetiche del Golfo e
punta anche alla sua ambiziosa espansione attraverso la Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che
intende connettere La Cina al Golfo Persico, al Mar Arabico, al Mar Rosso e al
Mediterraneo.
[1] Lo stretto di Hormuz e la geopolitica turbolenta del
Golfo Persico,
(2021), in https://aspeniaonline.it
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