Alessandro Ugo Imbriglia*
Nelle
ultime settimane il governo saudita si è visto costretto a varare una
Finanziaria caratterizzata da un forte contenimento del deficit pubblico, dopo
aver registrato un disavanzo di bilancio
che ha raggiunto i 98 miliardi di dollari (368 miliardi di Riyal), pari a circa
il 16 % del Pil. La politica di ribasso del prezzo del petrolio – adottata
dall’Arabia Saudita per sottrarre quote di mercato ai concorrenti con costi di
estrazione e raffinazione più elevati – ha comportato il crollo degli introiti
petroliferi (-23 %) e un conseguente incremento della spesa pubblica. Per il
2016 è previsto un calo del deficit di ben 10 miliardi di dollari. La riduzione
del disavanzo sarà effettuata attraverso un piano di privatizzazioni e riforme
del tutto estranee alla politica economica che l’Arabia Saudita ha adottato
negli ultimi 10 anni. Saranno effettuati
un taglio dei sussidi energetici, un rincaro delle bollette elettriche per i
cittadini con reddito elevato, nonché un incremento delle tariffe dell’acqua.
Inoltre sarà introdotto un aumento del costo della benzina pari a 8 centesimi di dollaro a litro. Il ministero
delle Finanze ha preso in seria considerazione l’ipotesi di un ricorso al
mercato obbligazionario per coprire il
fabbisogno dello Stato, mentre il Governo sta verificando la fattibilità di
un’introduzione dell’Iva in concomitanza con gli altri membri del Consiglio di
cooperazione del Golfo (Bahrein, Emirati, Kuwait, Qatar e Oman) , oltre a un aumento
delle tasse sul consumo di bevande e tabacco. La spesa pubblica saudita così
scenderà nel 2016 da 975 a 840 miliardi di riyal. La fetta principale del
deficit di bilancio resta la spesa militare con 200 miliardi, una voce che è
aumentata enormemente quest’anno per via della campagna militare condotta in
Yemen contro i ribelli Houthi. Il piano di austerità sta provocando un certo
malumore tra le fila della classe imprenditoriale saudita, messa già alla prova
dal ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Nonostante l’attuale calo dei prezzi a 35
dollari al barile e la sua dipendenza dalle esportazioni di petrolio, l'Arabia
Saudita mantiene da tempo inalterati i livelli di produzione. Il Paese esporta
7 milioni di barili di petrolio al giorno e le sue vendite rappresentano il 90%
delle entrate fiscali e il 40% del Pil. Il Prodotto interno lordo quest’anno è
cresciuto di un abbondante 3% ma, considerando che le stime prevedono per il
2016 un prezzo che si attesti attorno ai
40 dollari al barile, l’economia saudita potrebbe rallentare. Uno scenario
economico estremamente delicato contribuisce ad alimentare un clima reso già
incandescente dall’accordo sul nucleare fra Stati Uniti e Iran e dallo stallo
della guerra siriana con l’intervento di Putin a sostegno di Assad. Le condanne
a morte dell’imam Nimr Al Nimr e dei sei esponenti della comunità sciita, che
comprendevano i leader delle proteste religiose esplose nel 2011 per
rivendicare maggiori diritti e inclusione sociale a favore delle minoranze
religiose, indicano chiaramente che un obiettivo da colpire era la Repubblica islamica dell’Iran.
Quest’ultima si erge a garante e protettrice degli sciiti nel conflitto contro
gli oppositori del regime alauita in Siria e fa da contraltare al potere
sunnita in tutto il Medio Oriente. Inoltre un chiaro obiettivo era lanciare un
messaggio forte ai ribelli Houthi in Yemen, contro i quali Riad conduce un
conflitto dall’andamento disastroso. L’Arabia saudita non è un alleato dello Stato Islamico ma lo
sono molti gruppi radicali che combattono sul campo di battaglia siriano e
iracheno. Riad prima ha convocato alcuni di questi gruppi dell'opposizione
siriana e poi ha fondato una coalizione sunnita anti-terrorismo, che in realtà
appare essere un’alleanza strumentale: il jihadismo doveva essere nei piani
delle potenze come Arabia Saudita e Turchia, un mezzo per abbattere il regime
alauita di Damasco e modificare i confini della Siria di Assad e quelli
dell'Iraq sciita. Il dispiegamento massiccio di forze iraniane e russe nella
Siria occidentale ha compromesso il progetto saudita. In questo quadro, è
proprio il raffreddamento dell’alleanza con gli Usa che spinge Riad ad
affrettare i tempi nel provare a intrappolare gli Stati Uniti e costringerli a
prendere una posizione netta in caso di una escalation della tensione in Medio
Oriente. Dunque l’esecuzione dell’imam sciita saudita Al Nimr avrebbe dovuto arrestare
la dirompente affermazione dell’Iran nel panorama politico mediorientale, dopo
il raggiungimento dell'accordo sul nucleare
con i “5+1”. I Sauditi hanno effettuato una mossa aggressiva e
spregiudicata, nel tentativo di intercettare e bloccare il consolidamento
progressivo di Theran, scongiurando
l’avvento di un nuovo status quo regionale, all’interno del quale il loro ruolo
saudita si vedrebbe ridimensionato.
Sono
diversi i fattori che hanno spinto l’Arabia Saudita ad alimentare la tensione regionale. In
seguito agli attentati compiuti in Francia lo scorso novembre, i paesi
occidentali hanno rivisto le loro priorità in campo internazionale: la minaccia
principale alla stabilità e alla sicurezza non è più rappresentata dal programma nucleare iraniano
o dalla guerra civile siriana, bensì dalle capacità operative dello Stato
Islamico fuori dai propri confini territoriali. Questo assestamento ha portato
all’ammissione dell’Iran nei colloqui di Vienna sulla Siria, alla
legittimazione informale della dipendenza dell’Iraq dall’Iran, sino alla
rivalutazione strategica del regime siriano. Nel frattempo la Russia coordina
le sue azioni militari con la Francia e, ad agitare Riad, contribuisce
l’indipendenza raggiunta dagli Stati Uniti nel settore energetico, con il
conseguente deterioramento del rapporto fra le due potenze. Il peso strategico
dell’Iran nello scacchiere
internazionale cresce di giorno in giorno; esso è legato alla revoca
delle sanzioni nei confronti di Theran da parte dell’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica. Nel 2016 l’economia
iraniana potrebbe crescere del 5% e raggiungere tassi del 7-8% a partire dal
2017. L’anno successivo, inoltre, gli scambi commerciali con l’Unione
Europea potrebbero raggiungere la soglia dei 400 miliardi di euro dai 7,5 attuali.
Se l’andamento fosse davvero questo, in meno di un decennio l’Iran potrebbe
entrare di diritto fra le prime dieci economie mondiali. Alcuni Paesi europei, tra i quali l’Austria,
si sono recati a Teheran al fine di stipulare dei contratti commerciali, con i
quali effettuano delle ordinazioni di prodotti nei settori dell’auto,
dell’informatica e dell’ingegneria. La Francia con molta probabilità avvierà la
produzione di automobili in Iran e consoliderà l’import-export con Theran anche
nel settore del bestiame. Nel frattempo, il regno saudita, oltre ai
problemi di bilancio statale, è alle prese con una complicata successione
dinastica, la cui instabilità si traduce in una serie di incongruenze tra
autorità politiche e autorità religiose. L’ambiguità più marcata consiste nella presa di distanza dei sauditi
dall’Isis, che ha come “contrappeso” il simultaneo giro di vite autoritario,
fra cui le 47 condanne inflitte questo mese, senza dimenticare l’inasprimento
della guerra nello Yemen contro gli Houthi e la morsa dell’estremismo interno a
discapito delle minoranze. Con questi presupposti una de-escalation è improbabile,
mentre resta elevato il conflitto tra Teheran e Riad. L’eventuale ruolo di
mediazione ricoperto dalla Russia potrebbe essere coadiuvato dall’invito
rassicurante di Washington ad abbassare i toni e rassicurare i sauditi. Uno
scenario di questo tipo attesterebbe una vittoria strategica e diplomatica
della Russia sugli Usa, compromettendo definitivamente le finalità alla base
dell’accordo sul nucleare: includere entro l’orbita statunitense Israele,
Arabia Saudita e Iran. Ma Washington ancora non è disposta a cedere tanto. In questo
quadro Riad avrebbe la possibilità di boicottare i negoziati sulla Siria,
quindi compromettere il delicato processo di distensione e integrazione fra
sciiti e sunniti dopo la riconquista di Ramadi ottenuta dall’esercito iracheno
e alimentare ulteriormente la guerra in Yemen. Intanto i sauditi hanno sospeso
i collegamenti aerei con Theran e fra gli alleati di Riad alcuni – Bahrain,
Sudan ed Emirati – hanno interrotto i legami con l’Iran o richiamato gli
ambasciatori. Dalla sponda sciita suona dirompente la denuncia del ministro
degli esteri iraniano, il quale ha accusato l’Arabia Saudita di aver bombardato
l’ambasciata iraniana nello Yemen.
* Sociologo del Mutamento e dei Sistemi Complessi. Analista dei Processi
Organizzativi e dell’Industria Culturale. Laureato in Scienze Sociali
Applicate: Lavoro, Formazione e Risorse Umane
E-mail
ugo1990@hotmail.it
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