mercoledì 13 gennaio 2016

L’Arabia Saudita cade nell’impasse iraniano

Alessandro Ugo Imbriglia*

Nelle ultime settimane il governo saudita si è visto costretto a varare una Finanziaria caratterizzata da un forte contenimento del deficit pubblico, dopo aver registrato un  disavanzo di bilancio che ha raggiunto i 98 miliardi di dollari (368 miliardi di Riyal), pari a circa il 16 % del Pil. La politica di ribasso del prezzo del petrolio – adottata dall’Arabia Saudita per sottrarre quote di mercato ai concorrenti con costi di estrazione e raffinazione più elevati – ha comportato il crollo degli introiti petroliferi (-23 %) e un conseguente incremento della spesa pubblica. Per il 2016 è previsto un calo del deficit di ben 10 miliardi di dollari. La riduzione del disavanzo sarà effettuata attraverso un piano di privatizzazioni e riforme del tutto estranee alla politica economica che l’Arabia Saudita ha adottato negli ultimi 10 anni. Saranno  effettuati un taglio dei sussidi energetici, un rincaro delle bollette elettriche per i cittadini con reddito elevato, nonché un incremento delle tariffe dell’acqua. Inoltre sarà introdotto un aumento del costo della benzina pari a  8 centesimi di dollaro a litro. Il ministero delle Finanze ha preso in seria considerazione l’ipotesi di un ricorso al mercato obbligazionario  per coprire il fabbisogno dello Stato, mentre il Governo sta verificando la fattibilità di un’introduzione dell’Iva in concomitanza con gli altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Bahrein, Emirati, Kuwait, Qatar e Oman) , oltre a un aumento delle tasse sul consumo di bevande e tabacco. La spesa pubblica saudita così scenderà nel 2016 da 975 a 840 miliardi di riyal. La fetta principale del deficit di bilancio resta la spesa militare con 200 miliardi, una voce che è aumentata enormemente quest’anno per via della campagna militare condotta in Yemen contro i ribelli Houthi. Il piano di austerità sta provocando un certo malumore tra le fila della classe imprenditoriale saudita, messa già alla prova dal ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione.  Nonostante l’attuale calo dei prezzi a 35 dollari al barile e la sua dipendenza dalle esportazioni di petrolio, l'Arabia Saudita mantiene da tempo inalterati i livelli di produzione. Il Paese esporta 7 milioni di barili di petrolio al giorno e le sue vendite rappresentano il 90% delle entrate fiscali e il 40% del Pil. Il Prodotto interno lordo quest’anno è cresciuto di un abbondante 3% ma, considerando che le stime prevedono per il 2016  un prezzo che si attesti attorno ai 40 dollari al barile, l’economia saudita potrebbe rallentare. Uno scenario economico estremamente delicato contribuisce ad alimentare un clima reso già incandescente dall’accordo sul nucleare fra Stati Uniti e Iran e dallo stallo della guerra siriana con l’intervento di Putin a sostegno di Assad. Le condanne a morte dell’imam Nimr Al Nimr e dei sei esponenti della comunità sciita, che comprendevano i leader delle proteste religiose esplose nel 2011 per rivendicare maggiori diritti e inclusione sociale a favore delle minoranze religiose, indicano chiaramente che un obiettivo da  colpire era la Repubblica islamica dell’Iran. Quest’ultima si erge a garante e protettrice degli sciiti nel conflitto contro gli oppositori del regime alauita in Siria e fa da contraltare al potere sunnita in tutto il Medio Oriente. Inoltre un chiaro obiettivo era lanciare un messaggio forte ai ribelli Houthi in Yemen, contro i quali Riad conduce un conflitto dall’andamento disastroso. L’Arabia saudita  non è un alleato dello Stato Islamico ma lo sono molti gruppi radicali che combattono sul campo di battaglia siriano e iracheno. Riad prima ha convocato alcuni di questi gruppi dell'opposizione siriana e poi ha fondato una coalizione sunnita anti-terrorismo, che in realtà appare essere un’alleanza strumentale: il jihadismo doveva essere nei piani delle potenze come Arabia Saudita e Turchia, un mezzo per abbattere il regime alauita di Damasco e modificare i confini della Siria di Assad e quelli dell'Iraq sciita. Il dispiegamento massiccio di forze iraniane e russe nella Siria occidentale ha compromesso il progetto saudita. In questo quadro, è proprio il raffreddamento dell’alleanza con gli Usa che spinge Riad ad affrettare i tempi nel provare a intrappolare gli Stati Uniti e costringerli a prendere una posizione netta in caso di una escalation della tensione in Medio Oriente. Dunque l’esecuzione dell’imam sciita saudita Al Nimr avrebbe dovuto arrestare la dirompente affermazione dell’Iran nel panorama politico mediorientale, dopo il raggiungimento dell'accordo sul nucleare  con i “5+1”. I Sauditi hanno effettuato una mossa aggressiva e spregiudicata, nel tentativo di intercettare e bloccare il consolidamento progressivo di Theran,  scongiurando l’avvento di un nuovo status quo regionale, all’interno del quale il loro ruolo saudita si vedrebbe ridimensionato.
Sono diversi i fattori che hanno spinto l’Arabia Saudita  ad alimentare la tensione regionale. In seguito agli attentati compiuti in Francia lo scorso novembre, i paesi occidentali hanno rivisto le loro priorità in campo internazionale: la minaccia principale alla stabilità e alla sicurezza non è più  rappresentata dal programma nucleare iraniano o dalla guerra civile siriana, bensì dalle capacità operative dello Stato Islamico fuori dai propri confini territoriali. Questo assestamento ha portato all’ammissione dell’Iran nei colloqui di Vienna sulla Siria, alla legittimazione informale della dipendenza dell’Iraq dall’Iran, sino alla rivalutazione strategica del regime siriano. Nel frattempo la Russia coordina le sue azioni militari con la Francia e, ad agitare Riad, contribuisce l’indipendenza raggiunta dagli Stati Uniti nel settore energetico, con il conseguente deterioramento del rapporto fra le due potenze. Il peso strategico dell’Iran nello scacchiere  internazionale cresce di giorno in giorno; esso è legato alla revoca delle sanzioni nei confronti di Theran da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Nel  2016 l’economia iraniana potrebbe crescere del 5% e raggiungere tassi del 7-­8% a partire dal 2017.  L’anno successivo, inoltre, gli scambi commerciali con l’Unione Europea potrebbero raggiungere la soglia dei 400 miliardi di euro dai 7,5 attuali. Se l’andamento fosse davvero questo, in meno di un decennio l’Iran potrebbe entrare di diritto fra le prime dieci economie mondiali. Alcuni Paesi europei, tra i quali l’Austria, si sono recati a Teheran al fine di stipulare dei contratti commerciali, con i quali effettuano delle ordinazioni di prodotti nei settori dell’auto, dell’informatica e dell’ingegneria. La Francia con molta probabilità avvierà la produzione di automobili in Iran e consoliderà l’import-export con Theran anche nel settore del bestiame. Nel frattempo, il regno saudita, oltre ai problemi di bilancio statale, è alle prese con una complicata successione dinastica, la cui instabilità si traduce in una serie di incongruenze tra autorità politiche e autorità religiose. L’ambiguità più marcata  consiste nella presa di distanza dei sauditi dall’Isis, che ha come “contrappeso” il simultaneo giro di vite autoritario, fra cui le 47 condanne inflitte questo mese, senza dimenticare l’inasprimento della guerra nello Yemen contro gli Houthi e la morsa dell’estremismo interno a discapito delle minoranze. Con questi presupposti una de-escalation è improbabile, mentre resta elevato il conflitto tra Teheran e Riad. L’eventuale ruolo di mediazione ricoperto dalla Russia potrebbe essere coadiuvato dall’invito rassicurante di Washington ad abbassare i toni e rassicurare i sauditi. Uno scenario di questo tipo attesterebbe una vittoria strategica e diplomatica della Russia sugli Usa, compromettendo definitivamente le finalità alla base dell’accordo sul nucleare: includere entro l’orbita statunitense Israele, Arabia Saudita e Iran. Ma Washington ancora  non è disposta a cedere tanto. In questo quadro Riad avrebbe la possibilità di boicottare i negoziati sulla Siria, quindi compromettere il delicato processo di distensione e integrazione fra sciiti e sunniti dopo la riconquista di Ramadi ottenuta dall’esercito iracheno e alimentare ulteriormente la guerra in Yemen. Intanto i sauditi hanno sospeso i collegamenti aerei con Theran e fra gli alleati di Riad alcuni – Bahrain, Sudan ed Emirati – hanno interrotto i legami con l’Iran o richiamato gli ambasciatori. Dalla sponda sciita suona dirompente la denuncia del ministro degli esteri iraniano, il quale ha accusato l’Arabia Saudita di aver bombardato l’ambasciata iraniana nello Yemen.


* Sociologo del Mutamento e dei Sistemi Complessi. Analista dei Processi Organizzativi e dell’Industria Culturale. Laureato in Scienze Sociali Applicate: Lavoro, Formazione e Risorse Umane

E-mail ugo1990@hotmail.it

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