Yemen senza tregua Le fazioni litigano, gli jihadisti avanzano Eleonora Ardemagni 23/06/2015 |
Nessuna tregua umanitaria. Dopo cinque giorni di negoziati separati a Ginevra, il governo yemenita (prima riparato ad Aden, poi in Arabia Saudita) e i miliziani sciiti (gli huthi del movimento Ansarullah più il General People's Congress, Gpc, dell'ex presidente Saleh), che controllano la capitale Sana'a, non hanno raggiunto alcun accordo.
Oman e Stati Uniti avevano convinto le parti a incontrarsi in Svizzera, sotto la regia del nuovo inviato dell'Onu, il mauritano Ismail Ahmed: il Sultanato aveva giocato il tradizionale, discreto ruolo di facilitatore, ospitando incontri informali tra gli attori yemeniti, cui avevano partecipato anche diplomatici di Washington.
Il presidente ad interim Abdu Rabu Mansur Hadi aveva dichiarato che l’obiettivo dei colloqui di Ginevra non sarebbe stata la “riconciliazione”, ma l’attuazione della risoluzione 2216 dell’Onu (ritiro dei miliziani sciiti dai territori occupati e consegna delle armi); Ansarullah e Gpc, invece, chiedevano, come precondizione per la tregua, lo stop dei bombardamenti della coalizione a guida saudita.
Il logoramento saudita
Prima dell'appuntamento svizzero, come prevedibile, i bombardamenti e i combattimenti fra milizie si sono intensificati. Infatti, sia l’alleanza huthi-Saleh che i filo-governativi volevano sedersi al tavolo negoziale da una posizione di maggior forza possibile, anche perché gli equilibri sul campo non sono stati alterati dall’intervento militare.
Per Riad, dopo tre mesi di raid, il bilancio è davvero preoccupante: persino l'annuncio della distruzione dell'arsenale balistico in mano agli insorti si è rivelato perlomeno inesatto, dal momento che due Patriot sauditi hanno dovuto intercettare un missile Scud partito dallo Yemen (probabilmente da militari vicini a Saleh) e diretto contro la base saudita di Khamis Mushait (Jizan).
I fronti del conflitto sono ora principalmente tre: il confine saudita - con la regione di Najran sotto crescente pressione huthi -, la capitale Sana’a e il triangolo centromeridionale Aden-Taiz-Bayda, dove prosegue la guerriglia tra le fazioni.
La debolezza di Hadi
Nessun attore partitico e/o tribale sembra disporre della forza politica necessaria per far rispettare, sul campo, qualsiasi accordo di tregua possa essere raggiunto in futuro: cresce lo scollamento fra le leadership politico-tribali e le milizie sul territorio.
E la frantumazione dell'esercito amplifica la privatizzazione della violenza. Le forze che osteggiano le milizie sciite non sostengono necessariamente il presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale ma sempre più debole, specie agli occhi di chi combatte sul campo.
Per esempio, il partito Islah (Fratelli musulmani e parte dei salafiti), ora appoggiato anche dall'Arabia Saudita, parteggia - insieme a molti comitati popolari di uomini in armi - per il ritorno in patria del presidente e del governo, così come il partito salafita Rashad (guidato dal controverso Abd al-Wahhab al-Humayqani, presente a Ginevra nonostante compaia nella lista nera del terrorismo Usa). Il Movimento Meridionale (Al-Hirak), anch'esso in lotta contro gli huthi, ha invece come fine ultimo l'autonomia/indipendenza del sud dal resto dello Yemen.
Al-Qaeda e ‘Stato islamico’
Una cellula yemenita del sedicente Stato islamico (Is) ha rivendicato due nuovi attentati con autobombe a Sana'a (17 e 20 giugno), dopo quello che a marzo costò la vita ad almeno 140 fedeli in preghiera: il bilancio è di oltre trenta vittime, colpite fra moschee e uffici di Ansarullah.
Approfittando del vuoto di sicurezza, al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) e l’affiliata Ansar al-Sharia stanno guadagnando terreno e consenso popolare nel sud del Paese combinando la lotta alle milizie sciite con la fornitura di servizi primari in zone da tempo inaccessibili per le istituzioni centrali.
Non sono però da escludere tensioni fra jihadisti e tribù sunnite locali: nella città di Mukalla, capoluogo dell’Hadramout, i qaidisti hanno vietato la produzione e il consumo della foglia euforizzante del qat, tradizionale fenomeno di costume nonché fonte primaria di sostentamento finanziario per i clan dell’area.
Dopo che un drone Usa ha ucciso il leader di Aqap Nasser al-Wahishi, sarà interessante osservare la dialettica fra la nuova guida di Aqap e il ‘califfato’ di al-Baghdadi, da cui la branca yemenita di al-Qaeda si è finora tenuta distante.
Crisi umanitaria
Tre mesi di blocco aereo e navale hanno aggravato la già seria condizione umanitaria: lo Yemen, dipendente per il 90% dalle importazioni alimentari, vive una cronica crisi idrica. E i flussi migratori stanno mutando: chi riesce a scappare dalla repubblica arabica raggiunge Gibuti (ultimo rifugio del Corno d’Africa) o addirittura la Somalia, ovvero il Paese da cui si fuggiva - fino a poco tempo fa - per raggiungere Sana’a.
L’Arabia Saudita ha dispiegato almeno 2100 soldati senegalesi in patria, con l’obiettivo di liberare nuove truppe per il confine. Il conflitto politico-territoriale dello Yemen, tra fasi di alta e bassa intensità, durerà ancora a lungo, soprattutto se Arabia Saudita e Iran, ormai coinvolti nella contesa, proseguiranno il loro “gioco a somma zero” regionale.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, Ispi, Limes. Gulf Analyst per la Nato Defense College Foundation. Autrice di “Sicurezza e tribù. Le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo nel Medio Oriente instabile”, Ispi Working Paper, 2015.
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Il presidente ad interim Abdu Rabu Mansur Hadi aveva dichiarato che l’obiettivo dei colloqui di Ginevra non sarebbe stata la “riconciliazione”, ma l’attuazione della risoluzione 2216 dell’Onu (ritiro dei miliziani sciiti dai territori occupati e consegna delle armi); Ansarullah e Gpc, invece, chiedevano, come precondizione per la tregua, lo stop dei bombardamenti della coalizione a guida saudita.
Il logoramento saudita
Prima dell'appuntamento svizzero, come prevedibile, i bombardamenti e i combattimenti fra milizie si sono intensificati. Infatti, sia l’alleanza huthi-Saleh che i filo-governativi volevano sedersi al tavolo negoziale da una posizione di maggior forza possibile, anche perché gli equilibri sul campo non sono stati alterati dall’intervento militare.
Per Riad, dopo tre mesi di raid, il bilancio è davvero preoccupante: persino l'annuncio della distruzione dell'arsenale balistico in mano agli insorti si è rivelato perlomeno inesatto, dal momento che due Patriot sauditi hanno dovuto intercettare un missile Scud partito dallo Yemen (probabilmente da militari vicini a Saleh) e diretto contro la base saudita di Khamis Mushait (Jizan).
I fronti del conflitto sono ora principalmente tre: il confine saudita - con la regione di Najran sotto crescente pressione huthi -, la capitale Sana’a e il triangolo centromeridionale Aden-Taiz-Bayda, dove prosegue la guerriglia tra le fazioni.
La debolezza di Hadi
Nessun attore partitico e/o tribale sembra disporre della forza politica necessaria per far rispettare, sul campo, qualsiasi accordo di tregua possa essere raggiunto in futuro: cresce lo scollamento fra le leadership politico-tribali e le milizie sul territorio.
E la frantumazione dell'esercito amplifica la privatizzazione della violenza. Le forze che osteggiano le milizie sciite non sostengono necessariamente il presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale ma sempre più debole, specie agli occhi di chi combatte sul campo.
Per esempio, il partito Islah (Fratelli musulmani e parte dei salafiti), ora appoggiato anche dall'Arabia Saudita, parteggia - insieme a molti comitati popolari di uomini in armi - per il ritorno in patria del presidente e del governo, così come il partito salafita Rashad (guidato dal controverso Abd al-Wahhab al-Humayqani, presente a Ginevra nonostante compaia nella lista nera del terrorismo Usa). Il Movimento Meridionale (Al-Hirak), anch'esso in lotta contro gli huthi, ha invece come fine ultimo l'autonomia/indipendenza del sud dal resto dello Yemen.
Al-Qaeda e ‘Stato islamico’
Una cellula yemenita del sedicente Stato islamico (Is) ha rivendicato due nuovi attentati con autobombe a Sana'a (17 e 20 giugno), dopo quello che a marzo costò la vita ad almeno 140 fedeli in preghiera: il bilancio è di oltre trenta vittime, colpite fra moschee e uffici di Ansarullah.
Approfittando del vuoto di sicurezza, al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) e l’affiliata Ansar al-Sharia stanno guadagnando terreno e consenso popolare nel sud del Paese combinando la lotta alle milizie sciite con la fornitura di servizi primari in zone da tempo inaccessibili per le istituzioni centrali.
Non sono però da escludere tensioni fra jihadisti e tribù sunnite locali: nella città di Mukalla, capoluogo dell’Hadramout, i qaidisti hanno vietato la produzione e il consumo della foglia euforizzante del qat, tradizionale fenomeno di costume nonché fonte primaria di sostentamento finanziario per i clan dell’area.
Dopo che un drone Usa ha ucciso il leader di Aqap Nasser al-Wahishi, sarà interessante osservare la dialettica fra la nuova guida di Aqap e il ‘califfato’ di al-Baghdadi, da cui la branca yemenita di al-Qaeda si è finora tenuta distante.
Crisi umanitaria
Tre mesi di blocco aereo e navale hanno aggravato la già seria condizione umanitaria: lo Yemen, dipendente per il 90% dalle importazioni alimentari, vive una cronica crisi idrica. E i flussi migratori stanno mutando: chi riesce a scappare dalla repubblica arabica raggiunge Gibuti (ultimo rifugio del Corno d’Africa) o addirittura la Somalia, ovvero il Paese da cui si fuggiva - fino a poco tempo fa - per raggiungere Sana’a.
L’Arabia Saudita ha dispiegato almeno 2100 soldati senegalesi in patria, con l’obiettivo di liberare nuove truppe per il confine. Il conflitto politico-territoriale dello Yemen, tra fasi di alta e bassa intensità, durerà ancora a lungo, soprattutto se Arabia Saudita e Iran, ormai coinvolti nella contesa, proseguiranno il loro “gioco a somma zero” regionale.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, Ispi, Limes. Gulf Analyst per la Nato Defense College Foundation. Autrice di “Sicurezza e tribù. Le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo nel Medio Oriente instabile”, Ispi Working Paper, 2015.
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