La Siria degli altri Oltre Califfo e ribelli, l'avanzata iraniana Roberto Iannuzzi 04/06/2015 |
Anche se a far notizia è stata soprattutto l’avanzata del sedicente ‘Stato islamico’ sull’antica città di Palmira, non meno rilevante è la recente perdita della provincia di Idlib da parte del regime siriano. Questa è ora nelle mani di una variegata coalizione di ribelli ugualmente ostili a Damasco e all’autoproclamato Califfo.
Tale coalizione vorrebbe ora prendere Aleppo, seconda città del Paese, ma è minacciata dalle forze del Califfo e da una possibile controffensiva a guida iraniana. La situazione sul terreno in Siria resta fluida.
I molteplici fronti del conflitto
Mentre nel nord i curdi gestiscono le proprie enclave autonomamente, nella Siria centro-orientale il Califfato ha consolidato la sua presenza, controllando quasi tutto il confine iracheno.
Nel fronte ribelle gli equilibri si sono spostati a favore di gruppi salafiti e jihadisti come Ahrar al-Sham, Jaish al-Islam e Al-Nusra. Quest’ultima è una formazione affiliata ad Al-Qaeda, ma ostile, come le altre, al sedicente ‘Stato islamico’.
Sebbene esistano sacche ribelli intorno a Damasco e sul confine libanese, l’offensiva dei gruppi armati anti-regime proviene soprattutto da sud-ovest, in prossimità con il confine giordano, e da nord-ovest, vicino alla frontiera turca.
In Giordania e Turchia esistono due ‘sale operative’ che coordinano l’azione dei ribelli ‘moderati’. Nella prima l’intelligence statunitense e giordana operano di concerto con agenti delle monarchie del Golfo, nella seconda collaborano servizi americani e turchi.
Washington ha predisposto un piano per addestrare fino a 15 mila ribelli in Turchia, Giordania, Qatar e Arabia Saudita. Fra la Casa Bianca e questi Paesi vi è però disaccordo sul nemico da combattere. Gli Stati Uniti danno apparentemente la priorità alla lotta contro il Califfato, mentre Ankara, Riad e Doha intendono rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad.
Vi è, infine, in Siria, uno scontro sotterraneo tra Israele e l’Iran. A partire dal 2013, Tel Aviv ha più volte bombardato depositi di armi iraniane (e russe) in territorio siriano. E sulle alture del Golan vi è uno strisciante confronto fra ribelli tacitamente sostenuti da Israele e operativi di Hezbollah e della Guardia Rivoluzionaria iraniana.Questo fronte, meno conosciuto, potrebbe deflagrare nel medio periodo in un conflitto aperto fra Israele e Hezbollah.
Da Idlib ad Aleppo, il nuovo fronte anti-Assad
A gennaio l’ascesa al trono di re Salman a Riad ha segnato una svolta nel panorama politico regionale, favorendo un riavvicinamento fra Arabia Saudita, Turchia e Qatar. In Siria ciò si è tradotto in uno sforzo congiunto per unire il frammentato fronte dei ribelli anti-Assad.
Washington ha infine dato parziale assenso all’operazione, fornendo supporto logistico e di intelligence, probabilmente per convincere i propri alleati regionali che non intende abbandonarli in favore di un “grande accordo” con l’Iran.
La nuova coalizione ribelle si è così impadronita della provincia di Idlib e ambisce ora ad Aleppo. Prediligendo l’efficienza militare, Ankara, Riad e Doha appoggiano i gruppi più estremisti all’interno di questa coalizione, da Ahrar al-Sham ad Al-Nusra.
A fianco del Califfato potrebbe dunque nascere un nuovo emirato islamico nel nord-ovest della Siria, che punterebbe ad avere Aleppo come capitale. Questa città storicamente multiconfessionale rischia di essere schiacciata nella morsa di un estremismo intollerante verso le minoranze da un lato e degli indiscriminati bombardamenti dell’aviazione governativa dall’altro.
Damasco nelle mani dell’Iran
Malgrado l’importante supporto fornitogli da Hezbollah, l’esercito siriano è logorato da quattro anni di conflitto. Per sopravvivere, il regime è divenuto sempre più dipendente dall’Iran che lo ha sostenuto con un enorme sforzo finanziario e militare.
Teheran ha inviato in Siria milizie sciite provenienti da tutto il Medio Oriente. Questo fenomeno, meno noto di quello dei cosiddetti ‘combattenti stranieri’ arruolatisi nelle file del Califfato e di Al-Nusra, è ugualmente impressionante.
Migliaia di sciiti iraniani, iracheni, libanesi e perfino afghani e pakistani, sono giunti e stanno giungendo tuttora in Siria per opporsiall’offensiva sunnita wahhabita degli Stati del Golfo e del sedicente Califfo. Ma la novità essenziale è che Teheran starebbe inviando per la prima volta migliaia di soldati della propria Guardia Rivoluzionaria.
Sebbene abbia un’economia a pezzi, il regime siriano mantiene una sua coesione.Pur avendo perso più di tre quarti del proprio territorio, conserva il controllo sul 50-60% della popolazione e sui principali centri urbani. Le regioni irrinunciabili per il regime restano l’asse Damasco-Homs e la costa a maggioranza alawita, con le città di Latakia e Tartus.
Con l’aiuto dell’Iran, Assad spera perfino di contrattaccare. Il fronte ribelle potrebbe nuovamente frantumarsi in lotte fratricide. Esso è radicato nella Siria rurale e nelle periferie urbane, ma non nei centri controllati dal regime, i cui abitanti, pur non amando Assad, spesso temono di più i ribelli.
Inoltre Ankara e Riad, i principali avversari regionali di Damasco, hanno anch’essi i loro problemi. Erdoğan deve fare i conti con una forte opposizione interna all’avventura siriana, mentre la monarchia saudita è impantanata militarmente nello Yemen.
In assenza di un processo negoziale credibile, il conflitto siriano è dunque destinato a protrarsi ancora a lungo, distruggendo sempre di più il paese e intrecciandosi pericolosamente con le dinamiche del più ampio scontro regionale.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”.
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Mentre nel nord i curdi gestiscono le proprie enclave autonomamente, nella Siria centro-orientale il Califfato ha consolidato la sua presenza, controllando quasi tutto il confine iracheno.
Nel fronte ribelle gli equilibri si sono spostati a favore di gruppi salafiti e jihadisti come Ahrar al-Sham, Jaish al-Islam e Al-Nusra. Quest’ultima è una formazione affiliata ad Al-Qaeda, ma ostile, come le altre, al sedicente ‘Stato islamico’.
Sebbene esistano sacche ribelli intorno a Damasco e sul confine libanese, l’offensiva dei gruppi armati anti-regime proviene soprattutto da sud-ovest, in prossimità con il confine giordano, e da nord-ovest, vicino alla frontiera turca.
In Giordania e Turchia esistono due ‘sale operative’ che coordinano l’azione dei ribelli ‘moderati’. Nella prima l’intelligence statunitense e giordana operano di concerto con agenti delle monarchie del Golfo, nella seconda collaborano servizi americani e turchi.
Washington ha predisposto un piano per addestrare fino a 15 mila ribelli in Turchia, Giordania, Qatar e Arabia Saudita. Fra la Casa Bianca e questi Paesi vi è però disaccordo sul nemico da combattere. Gli Stati Uniti danno apparentemente la priorità alla lotta contro il Califfato, mentre Ankara, Riad e Doha intendono rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad.
Vi è, infine, in Siria, uno scontro sotterraneo tra Israele e l’Iran. A partire dal 2013, Tel Aviv ha più volte bombardato depositi di armi iraniane (e russe) in territorio siriano. E sulle alture del Golan vi è uno strisciante confronto fra ribelli tacitamente sostenuti da Israele e operativi di Hezbollah e della Guardia Rivoluzionaria iraniana.Questo fronte, meno conosciuto, potrebbe deflagrare nel medio periodo in un conflitto aperto fra Israele e Hezbollah.
Da Idlib ad Aleppo, il nuovo fronte anti-Assad
A gennaio l’ascesa al trono di re Salman a Riad ha segnato una svolta nel panorama politico regionale, favorendo un riavvicinamento fra Arabia Saudita, Turchia e Qatar. In Siria ciò si è tradotto in uno sforzo congiunto per unire il frammentato fronte dei ribelli anti-Assad.
Washington ha infine dato parziale assenso all’operazione, fornendo supporto logistico e di intelligence, probabilmente per convincere i propri alleati regionali che non intende abbandonarli in favore di un “grande accordo” con l’Iran.
La nuova coalizione ribelle si è così impadronita della provincia di Idlib e ambisce ora ad Aleppo. Prediligendo l’efficienza militare, Ankara, Riad e Doha appoggiano i gruppi più estremisti all’interno di questa coalizione, da Ahrar al-Sham ad Al-Nusra.
A fianco del Califfato potrebbe dunque nascere un nuovo emirato islamico nel nord-ovest della Siria, che punterebbe ad avere Aleppo come capitale. Questa città storicamente multiconfessionale rischia di essere schiacciata nella morsa di un estremismo intollerante verso le minoranze da un lato e degli indiscriminati bombardamenti dell’aviazione governativa dall’altro.
Damasco nelle mani dell’Iran
Malgrado l’importante supporto fornitogli da Hezbollah, l’esercito siriano è logorato da quattro anni di conflitto. Per sopravvivere, il regime è divenuto sempre più dipendente dall’Iran che lo ha sostenuto con un enorme sforzo finanziario e militare.
Teheran ha inviato in Siria milizie sciite provenienti da tutto il Medio Oriente. Questo fenomeno, meno noto di quello dei cosiddetti ‘combattenti stranieri’ arruolatisi nelle file del Califfato e di Al-Nusra, è ugualmente impressionante.
Migliaia di sciiti iraniani, iracheni, libanesi e perfino afghani e pakistani, sono giunti e stanno giungendo tuttora in Siria per opporsiall’offensiva sunnita wahhabita degli Stati del Golfo e del sedicente Califfo. Ma la novità essenziale è che Teheran starebbe inviando per la prima volta migliaia di soldati della propria Guardia Rivoluzionaria.
Sebbene abbia un’economia a pezzi, il regime siriano mantiene una sua coesione.Pur avendo perso più di tre quarti del proprio territorio, conserva il controllo sul 50-60% della popolazione e sui principali centri urbani. Le regioni irrinunciabili per il regime restano l’asse Damasco-Homs e la costa a maggioranza alawita, con le città di Latakia e Tartus.
Con l’aiuto dell’Iran, Assad spera perfino di contrattaccare. Il fronte ribelle potrebbe nuovamente frantumarsi in lotte fratricide. Esso è radicato nella Siria rurale e nelle periferie urbane, ma non nei centri controllati dal regime, i cui abitanti, pur non amando Assad, spesso temono di più i ribelli.
Inoltre Ankara e Riad, i principali avversari regionali di Damasco, hanno anch’essi i loro problemi. Erdoğan deve fare i conti con una forte opposizione interna all’avventura siriana, mentre la monarchia saudita è impantanata militarmente nello Yemen.
In assenza di un processo negoziale credibile, il conflitto siriano è dunque destinato a protrarsi ancora a lungo, distruggendo sempre di più il paese e intrecciandosi pericolosamente con le dinamiche del più ampio scontro regionale.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”.
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