Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note.Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato.Parametrazione a 100 riferito al Medio Oriente. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
mercoledì 31 gennaio 2024
venerdì 19 gennaio 2024
Sviluppo ed utilizzo degli UAVs nell'area del Golfo Persico
Tesi di Laurea
Giuseppe Cozzi
LO SCENARIO GEOPOLITICO DI RIFERIMENTO DEL GOLFO PERSICO
LO
STRETTO DI HORMUZ E LA GEOPOLITICA TURBOLENTA DEL GOLFO
Lo
Stretto di Hormuz è uno dei più importanti crocevia per i traffici commerciali
mondiali e rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto di petrolio,
via mare, dal Medioriente verso la maggior parte dei Paesi del mondo. Esso si
estende per circa 60 miglia nautiche in lunghezza ed è circondato da Iran, Oman
ed Emirati Arabi Uniti.
Il tratto
di mare più stretto è lungo circa 31 chilometri ed è compreso fra Iran e il
Sultanato dell’Oman, i quali si contendono il controllo del traffico marittimo,
dal momento che lo schema di separazione del traffico, quindi il tratto
navigabile dello Stretto, si colloca all’interno delle acque territoriali dei
due Paesi. Lo Stretto è l’unica via che permette l’accesso dal Golfo Persico
verso l’Oceano Indiano e, quindi, per tutti i mari del mondo.
Questo
piccolo spazio di mare costituisce una delle rotte strategiche più rilevanti al
mondo in quanto consente ai produttori del Medio Oriente di spedire il greggio,
attraverso l’utilizzo di idonee petroliere, ai Paesi consumatori di Asia,
Europa e Nord America. Costellato di isolette rivendicate da Iran ed Emirati
Arabi Uniti, è l’unica rotta verso l’oceano aperto anche per un terzo del gas
naturale liquefatto del mondo. Infatti, secondo i dati di U.S. Energy
Information Administration (EIA), nel 2015 attraverso lo Stretto sono
passati circa 17 milioni di barili di petrolio al giorno, pari al 30% di tutto
il greggio trasportato per mare durante quell’anno mentre nel 2016 i flussi
totali attraverso lo Stretto di Hormuz sono aumentati fino a raggiungere il
livello record di 18,5 milioni di barili al giorno[1].
Nel 2020, ha avuto un volume di scambi di petrolio di 18 milioni di barili al
giorno, pari a quasi il 50% del volume totale degli scambi di petrolio via mare
per quell’anno[2].
Per
quanto attiene al nome “Golfo Persico”, o per alcuni “Golfo Arabico” a seconda
dalla sponda dove ci si trovi, è stata peraltro oggetto di diverse dispute. L’aggettivo
“Persico”, ovvero iraniano, è stato contestato da molti Paesi arabi (tra cui
Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait) fin dagli anni ’60 dello
scorso secolo, non solo per la rivalità fra Iran e alcuni Stati arabi ma anche
per il crescente senso di nazionalismo di tali entità statuali che si è avuto
dalla seconda metà del ‘900. Per questo motivo esso è appellato “Golfo Arabico”
dalla maggior parte degli Stati della regione anche se, per motivi di praticità
e semplicità, durante il corso dell’elaborato appelleremo l’area come “Golfo
Persico”.
La
regione del Golfo Persico, è stata un’area di estremo interesse e di indubbia
civiltà fin dai tempi antichi. Conosciuta dai più blasonati navigatori europei,
questa regione, ancor prima della scoperta del petrolio in Iran nel 1908, era
importante sicuramente per l’attività di pesca tramite la tipica imbarcazione
araba conosciuta con il nome di dau (in inglese “dhow”), il commercio di perle,
l’allevamento di dromedari e cammelli e la coltivazione del dattero. Dopo la
prima metà del ‘900, a partire dagli anni ’50, l’economia regionale ha subito
un radicale cambiamento grazie alla produzione ed esportazione di greggio in
tutto il mondo da parte dei Paesi circostanti. Oggigiorno gli scali marittimi
più importanti sono i porti di Khārg Island in Iran, Kuwait City, Al-Dammām in
Arabia Saudita, Manama in Bahrain, Port Rāshid negli Emirati Arabi Uniti.
La
regione è stata sempre in continuo fermento: il bacino di mare ristretto, la
posizione geografica delle numerose isole nel Golfo, unitamente al proprio
rendimento in termini di risorse energetiche, ha portato, nel corso degli anni,
a numerose controversie legali tra gli Stati contendenti. Alcuni esempi:
- le isole
di Farsi e Arabi, situate nell’area centrale del Golfo, sono state oggetto di
lunghe controversie da parte di Iran e Arabia Saudita quando, nel 1986 le parti
hanno riconosciuto mutualmente la sovranità iraniana su Farsi e saudita su
Arabi.
- nel 2010
la compagnia petrolifera di stato iraniana ha ufficialmente “dato inizio
all’estrazione di petrolio dal giacimento dell’isola di Hengan, imponente
risorsa di greggio e gas naturale scoperta nel 1975”[3].
Tale isola, che si trova a circa 70 km al largo delle coste iraniane vicino lo
Stretto di Hormuz, è stata oggetto di controversia legale sulla precisa
definizione di Zona Economica Esclusiva (ZEE).
- il
contenzioso in corso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le isole di
Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri.
Per
quanto afferisce alla presenza delle ingenti quantità di petrolio e gas
naturale ovvero di riserve energetiche nella regione, questo è stato motivo di
continua competizione e numerosi conflitti nel corso dei tempi. Tra i più
importanti va ricordato sicuramente la sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni
’80, la cosiddetta “Prima guerra del Golfo” dei primi anni ’90 (quando il
dittatore iracheno Saddam Hussein ha cercato di occupare e impossessarsi del
Kuwait e del proprio petrolio) e la “Seconda guerra del Golfo”, che ha visto
l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. In seguito agli esiti della Prima
guerra del Golfo nel 1990, il Dipartimento della Difesa americano decise di
dislocare una flotta (la Quinta), con sede a Manama (Bahrein), che avesse la
responsabilità sul Golfo Persico, Mar Arabico, Mar Rosso e parte dell’Oceano
Indiano lungo la costa orientale dell’Africa, con lo scopo di proteggere le vie
marittime ed i traffici ad esse collegati.
A seguito
di un periodo di precaria stabilità regionale, nel giugno 2019 la situazione
rischiava di precipitare, quando, nel Golfo dell’Oman, due petroliere andarono
a fuoco e gli Stati Uniti accusarono l’Iran dell’incidente. In tale occasione,
Teheran minacciò la chiusura dello Stretto, che avrebbe comportato ritardi e
costi di spedizione più elevati per i beni trasportati.
Infine,
nel maggio del 2022, la Islamic
Revolutionary Guard Corps (IRGC), la forza militare più potente
del paese, ha sequestrato due
petroliere greche che navigavano nel Golfo Persico. Il sequestro sarebbe stata
una ritorsione per la confisca di una petroliera iraniana avvenuta in acque
greche nell’aprile 2022, che secondo l’Iran sarebbe stata ordinata dagli Stati
Uniti per la violazione delle sanzioni che vietano all’Iran la vendita di
petrolio nei paesi dell’Unione Europea. Le due navi mercantili greche sono
state rilasciate nel novembre 2022 a seguito di un lungo e complicato sforzo
diplomatico.
Nonostante
le ricorrenti tensioni nell’area, il metodo di trasporto più conveniente rimane
ad oggi quello marittimo e lo Stretto di Hormuz resta un’arteria vitale per i
principali esportatori di petrolio nella regione del Golfo, le cui economie si
reggono sugli idrocarburi. Solo qualche anno fa, nel 2018, l’Arabia Saudita ha
inviato circa 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo
Stretto, l’Iraq più di 3,4 milioni, gli Emirati Arabi Uniti quasi 2,7 milioni e
il Kuwait poco più di 2 milioni[4].
Anche per l’Iran è molto importante questa rotta, principalmente per le sue
esportazioni di greggio (peraltro sottoposte a misure di embargo da parte degli
USA che limitano anche gli acquisti di vari Paesi alleati). Il Qatar, che
risulta essere il maggiore produttore mondiale di gas naturale liquefatto, lo
esporta quasi tutto attraverso Hormuz (la restante parte tramite via
terrestre).
Con il
passare degli anni, infatti, la centralità commerciale di questa rotta è
cresciuta sempre più, soprattutto con l’istaurarsi di un collegamento economico
con le più blasonate economie asiatiche. La maggior parte del petrolio che ha
attraversato lo stretto nel 2018 è andato in Cina, Giappone, Corea del Sud e
India. Anche gli Stati Uniti hanno importato quasi 1,4 milioni di barili al
giorno tramite questa rotta e l’Europa ne resta dipendente.
Sebbene
lo Stretto di Hormuz risulta essere il percorso più utilizzato per il trasporto
di greggio fuori dal Golfo, negli ultimi anni gli Stati costieri hanno
costruito diversi oleodotti terrestri per lo stesso fine. E’ il caso
dell’oleodotto saudita, il quale attraverso il Mar Rosso, con una capacità di
circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno
costruito un oleodotto terrestre che può trasportare circa 1,5 milioni di
barili di petrolio al giorno lungo la costa. Infine, è presente anche un altro
oleodotto che può trasportare il petrolio iracheno fino alla costa mediterranea.
L’efficienza di questi sistemi alternativi non risulta essere all’avanguardia e
molte sono le avarie che si riscontrano giornalmente ma, soprattutto, non riescono
a trasportare tutto il petrolio che può essere spostato su una nave.
Negli
ultimi anni poi, si è assistito ad un graduale inserimento di un altro attore
fondamentale nei giochi regionali, la Cina. La strategia di Pechino per il
Golfo Persico si basa sulla costruzione di legami economici con tutti gli
attori regionali, perseguendo un approccio apolitico e neutrale con questi
Paesi. La Cina ha infatti estremo bisogno delle risorse energetiche del Golfo e
punta anche alla sua ambiziosa espansione attraverso la Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che
intende connettere La Cina al Golfo Persico, al Mar Arabico, al Mar Rosso e al
Mediterraneo.
[1] World oil
transit chokepoints, (2019) https://www.eia.gov
[2] Strait of Hormuz, (2022), in www.statista.com
[3] Al via l’estrazione di greggio sull’isola di
Hengam, (2011), in https://iran.it
[4] Lo stretto di Hormuz e la geopolitica turbolenta del
Golfo Persico,
(2021), in https://aspeniaonline.it
mercoledì 10 gennaio 2024
Antonio Trogu Concetto di deterrenza nucleare
Concetto di deterrenza
L'uso della violenza nei rapporti fra gli stati è stato tradizionalmente
visto come lo strumento per distruggere la forza militare dell'avversario e
poter disporre delle sue popolazioni. Oggi invece acquista un'importanza sempre
crescente un altro uso della violenza: la minaccia di gravi e insostenibili
danni alle popolazioni per costringerle alla resa, o comunque spingerle verso
determinate decisioni. Questi sistemi sono stati largamente usati fin dai tempi
più antichi, ma diventano predominanti nei rapporti di forza nel mondo attuale:
dalle lotte fra gang rivali, al terrorismo della guerriglia, al ricatto
atomico. In particolare la presenza del ricatto atomico, con le sue
apocalittiche implicazioni tende a ispirare una istintiva repulsione verso un
tipo di guerra in cui le popolazioni non sono che ostaggi reciproci nelle mani
dei contendenti. Teoricamente nessun soggetto politico fa la guerra per la guerra, ma per conseguire
obiettivi politici, cioè per creare una situazione di pace che ritiene
conveniente. Si fa ricorso alle armi quando si ritiene più opportuno impiegarle
che astenersi dal farlo ma le armi sono utili anche se non vengono impiegate.
Con riguardo al nucleare l'atteggiamento più razionale,
per quanto spiacevole, sembra essere quello di pensare razionalmente a come
l'immensa forza distruttiva del ricatto atomico possa essere controllata, usata
consapevolmente, resa sempre più flessibile. Thomas C. Schelling [1] tenta quindi di elaborare
delle «regole» coscienti di condotta perché in qualsiasi situazione vi sia
sempre un'alternativa all'olocausto totale.[2] Si tratta di uno sforzo
originale teso a definire le modalità di un negoziato permanente tra le
superpotenze, la cui posta in gioco non è tanto il successo dell'uno o
dell'altro blocco, quanta la sopravvivenza della civiltà. Un nuovo linguaggio tra
le potenze che prende corpo; un linguaggio in cui il significato delle azioni e
delle armi è a volte più importante di quello delle parole un linguaggio in cui avere tempo, o dare tempo
all'avversario di rispondere, può essere vitale. Un contesto in cui la
segretezza ha un senso del tutto nuovo, e in cui il fatto che l'avversario
«capisca» e sia bene informato è nel nostro stesso interesse. La teoria della deterrenza e della
compellenza (Schelling, 1966) si fonda proprio sul paradosso che l'efficacia e
quindi l'utilità della forza è direttamente proporzionale alla potenzialità e
inversamente proporzionale all'effettività del suo impiego.
A carattere generale vediamo ora gli aspetti importanti della strategia
della deterrenza evidenziati da Raymond Aron [3]:
•
La
deterrenza è al contempo di carattere offensivo e difensivo, convertendo una
tattica offensiva (rappresaglia) in una strategia difensiva;
•
“La
dissuasione dipende tanto dai mezzi materiali di cui dispone lo stato che vuol
fermarne un altro, quanto dalla risolutezza che lo stato oggetto di dissuasione
attribuisce allo stato che lo minaccia di una sanzione”;
•
È
importante che il potenziale attaccante possieda la certezza (o almeno un
considerevole dubbio) che le minacce del
dissuasore saranno realmente attuate in caso di necessità
Ne consegue l’importanza della
percezione dell’avversario, nella considerazione di quanto le potenziali azioni
di deterrenza vengono considerate sufficienti a dissuadere
Le relazioni tra stati sono state e
sono ancora caratterizzate da un rapporto di deterrenza; l’avversario è
dissuaso dall’attaccare perché teme la risposta dello stato attaccato, la quale
può concretarsi in una sconfitta per l’attaccante o in un’azione punitiva
(rappresaglia) i cui costi per l’attaccante risulterebbero superiori ai
benefici derivanti dall’attacco.
La tipologia classica della
deterrenza si basa su tre fattori posti in alternativa:
•
Deterrenza
per negazione all’avversario di benefici (timore della sconfitta);
•
Deterrenza
attraverso l’imposizione all’avversario di costi eccedenti i benefici (timore
della rappresaglia). Tale aspetto riguarda sia le circostanze nel corso della
guerra, sia quelle esterne alla guerra stessa;
•
Deterrenza
in relazione agli attori: diretta, quando riguarda i due soggetti
coinvolti; indiretta o estesa, quando la minaccia dissuasiva di
rappresaglia implica la presenza di stati terzi, dei quali lo stato dissuasore
deve in qualche modo garantire la protezione (“ombrello nucleare”).
•
[1]
Economista
americano che ha condiviso il premio Nobel 2005 per le scienze
economiche con Robert
J. Aumann e’ specializzato nell'applicazione della teoria dei giochi nei
casi in cui gli avversari devono interagire ripetutamente