venerdì 19 gennaio 2024

Sviluppo ed utilizzo degli UAVs nell'area del Golfo Persico

 Tesi di Laurea

Giuseppe Cozzi

LO SCENARIO GEOPOLITICO DI RIFERIMENTO DEL GOLFO PERSICO

 

LO STRETTO DI HORMUZ E LA GEOPOLITICA TURBOLENTA DEL GOLFO

 

Lo Stretto di Hormuz è uno dei più importanti crocevia per i traffici commerciali mondiali e rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto di petrolio, via mare, dal Medioriente verso la maggior parte dei Paesi del mondo. Esso si estende per circa 60 miglia nautiche in lunghezza ed è circondato da Iran, Oman ed Emirati Arabi Uniti.

Il tratto di mare più stretto è lungo circa 31 chilometri ed è compreso fra Iran e il Sultanato dell’Oman, i quali si contendono il controllo del traffico marittimo, dal momento che lo schema di separazione del traffico, quindi il tratto navigabile dello Stretto, si colloca all’interno delle acque territoriali dei due Paesi. Lo Stretto è l’unica via che permette l’accesso dal Golfo Persico verso l’Oceano Indiano e, quindi, per tutti i mari del mondo.

Questo piccolo spazio di mare costituisce una delle rotte strategiche più rilevanti al mondo in quanto consente ai produttori del Medio Oriente di spedire il greggio, attraverso l’utilizzo di idonee petroliere, ai Paesi consumatori di Asia, Europa e Nord America. Costellato di isolette rivendicate da Iran ed Emirati Arabi Uniti, è l’unica rotta verso l’oceano aperto anche per un terzo del gas naturale liquefatto del mondo. Infatti, secondo i dati di U.S. Energy Information Administration (EIA), nel 2015 attraverso lo Stretto sono passati circa 17 milioni di barili di petrolio al giorno, pari al 30% di tutto il greggio trasportato per mare durante quell’anno mentre nel 2016 i flussi totali attraverso lo Stretto di Hormuz sono aumentati fino a raggiungere il livello record di 18,5 milioni di barili al giorno[1]. Nel 2020, ha avuto un volume di scambi di petrolio di 18 milioni di barili al giorno, pari a quasi il 50% del volume totale degli scambi di petrolio via mare per quell’anno[2].

Per quanto attiene al nome “Golfo Persico”, o per alcuni “Golfo Arabico” a seconda dalla sponda dove ci si trovi, è stata peraltro oggetto di diverse dispute. L’aggettivo “Persico”, ovvero iraniano, è stato contestato da molti Paesi arabi (tra cui Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait) fin dagli anni ’60 dello scorso secolo, non solo per la rivalità fra Iran e alcuni Stati arabi ma anche per il crescente senso di nazionalismo di tali entità statuali che si è avuto dalla seconda metà del ‘900. Per questo motivo esso è appellato “Golfo Arabico” dalla maggior parte degli Stati della regione anche se, per motivi di praticità e semplicità, durante il corso dell’elaborato appelleremo l’area come “Golfo Persico”.

La regione del Golfo Persico, è stata un’area di estremo interesse e di indubbia civiltà fin dai tempi antichi. Conosciuta dai più blasonati navigatori europei, questa regione, ancor prima della scoperta del petrolio in Iran nel 1908, era importante sicuramente per l’attività di pesca tramite la tipica imbarcazione araba conosciuta con il nome di dau (in inglese “dhow”), il commercio di perle, l’allevamento di dromedari e cammelli e la coltivazione del dattero. Dopo la prima metà del ‘900, a partire dagli anni ’50, l’economia regionale ha subito un radicale cambiamento grazie alla produzione ed esportazione di greggio in tutto il mondo da parte dei Paesi circostanti. Oggigiorno gli scali marittimi più importanti sono i porti di Khārg Island in Iran, Kuwait City, Al-Dammām in Arabia Saudita, Manama in Bahrain, Port Rāshid negli Emirati Arabi Uniti.

La regione è stata sempre in continuo fermento: il bacino di mare ristretto, la posizione geografica delle numerose isole nel Golfo, unitamente al proprio rendimento in termini di risorse energetiche, ha portato, nel corso degli anni, a numerose controversie legali tra gli Stati contendenti. Alcuni esempi:

-       le isole di Farsi e Arabi, situate nell’area centrale del Golfo, sono state oggetto di lunghe controversie da parte di Iran e Arabia Saudita quando, nel 1986 le parti hanno riconosciuto mutualmente la sovranità iraniana su Farsi e saudita su Arabi.

-       nel 2010 la compagnia petrolifera di stato iraniana ha ufficialmente “dato inizio all’estrazione di petrolio dal giacimento dell’isola di Hengan, imponente risorsa di greggio e gas naturale scoperta nel 1975”[3]. Tale isola, che si trova a circa 70 km al largo delle coste iraniane vicino lo Stretto di Hormuz, è stata oggetto di controversia legale sulla precisa definizione di Zona Economica Esclusiva (ZEE).

-       il contenzioso in corso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le isole di Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri.

Per quanto afferisce alla presenza delle ingenti quantità di petrolio e gas naturale ovvero di riserve energetiche nella regione, questo è stato motivo di continua competizione e numerosi conflitti nel corso dei tempi. Tra i più importanti va ricordato sicuramente la sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni ’80, la cosiddetta “Prima guerra del Golfo” dei primi anni ’90 (quando il dittatore iracheno Saddam Hussein ha cercato di occupare e impossessarsi del Kuwait e del proprio petrolio) e la “Seconda guerra del Golfo”, che ha visto l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. In seguito agli esiti della Prima guerra del Golfo nel 1990, il Dipartimento della Difesa americano decise di dislocare una flotta (la Quinta), con sede a Manama (Bahrein), che avesse la responsabilità sul Golfo Persico, Mar Arabico, Mar Rosso e parte dell’Oceano Indiano lungo la costa orientale dell’Africa, con lo scopo di proteggere le vie marittime ed i traffici ad esse collegati.

A seguito di un periodo di precaria stabilità regionale, nel giugno 2019 la situazione rischiava di precipitare, quando, nel Golfo dell’Oman, due petroliere andarono a fuoco e gli Stati Uniti accusarono l’Iran dell’incidente. In tale occasione, Teheran minacciò la chiusura dello Stretto, che avrebbe comportato ritardi e costi di spedizione più elevati per i beni trasportati.

Infine, nel maggio del 2022, la Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC), la forza militare più potente del paese, ha sequestrato due petroliere greche che navigavano nel Golfo Persico. Il sequestro sarebbe stata una ritorsione per la confisca di una petroliera iraniana avvenuta in acque greche nell’aprile 2022, che secondo l’Iran sarebbe stata ordinata dagli Stati Uniti per la violazione delle sanzioni che vietano all’Iran la vendita di petrolio nei paesi dell’Unione Europea. Le due navi mercantili greche sono state rilasciate nel novembre 2022 a seguito di un lungo e complicato sforzo diplomatico.

Nonostante le ricorrenti tensioni nell’area, il metodo di trasporto più conveniente rimane ad oggi quello marittimo e lo Stretto di Hormuz resta un’arteria vitale per i principali esportatori di petrolio nella regione del Golfo, le cui economie si reggono sugli idrocarburi. Solo qualche anno fa, nel 2018, l’Arabia Saudita ha inviato circa 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo Stretto, l’Iraq più di 3,4 milioni, gli Emirati Arabi Uniti quasi 2,7 milioni e il Kuwait poco più di 2 milioni[4]. Anche per l’Iran è molto importante questa rotta, principalmente per le sue esportazioni di greggio (peraltro sottoposte a misure di embargo da parte degli USA che limitano anche gli acquisti di vari Paesi alleati). Il Qatar, che risulta essere il maggiore produttore mondiale di gas naturale liquefatto, lo esporta quasi tutto attraverso Hormuz (la restante parte tramite via terrestre).

Con il passare degli anni, infatti, la centralità commerciale di questa rotta è cresciuta sempre più, soprattutto con l’istaurarsi di un collegamento economico con le più blasonate economie asiatiche. La maggior parte del petrolio che ha attraversato lo stretto nel 2018 è andato in Cina, Giappone, Corea del Sud e India. Anche gli Stati Uniti hanno importato quasi 1,4 milioni di barili al giorno tramite questa rotta e l’Europa ne resta dipendente.

Sebbene lo Stretto di Hormuz risulta essere il percorso più utilizzato per il trasporto di greggio fuori dal Golfo, negli ultimi anni gli Stati costieri hanno costruito diversi oleodotti terrestri per lo stesso fine. E’ il caso dell’oleodotto saudita, il quale attraverso il Mar Rosso, con una capacità di circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno costruito un oleodotto terrestre che può trasportare circa 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno lungo la costa. Infine, è presente anche un altro oleodotto che può trasportare il petrolio iracheno fino alla costa mediterranea. L’efficienza di questi sistemi alternativi non risulta essere all’avanguardia e molte sono le avarie che si riscontrano giornalmente ma, soprattutto, non riescono a trasportare tutto il petrolio che può essere spostato su una nave.

Negli ultimi anni poi, si è assistito ad un graduale inserimento di un altro attore fondamentale nei giochi regionali, la Cina. La strategia di Pechino per il Golfo Persico si basa sulla costruzione di legami economici con tutti gli attori regionali, perseguendo un approccio apolitico e neutrale con questi Paesi. La Cina ha infatti estremo bisogno delle risorse energetiche del Golfo e punta anche alla sua ambiziosa espansione attraverso la Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che intende connettere La Cina al Golfo Persico, al Mar Arabico, al Mar Rosso e al Mediterraneo.

La Tesi è disponibile presso la Emeroteca del CESVAM, consultabile con l'autorizzazione dell'Autore.

[1] World oil transit chokepoints, (2019) https://www.eia.gov

[2] Strait of Hormuz, (2022), in www.statista.com

[3] Al via l’estrazione di greggio sull’isola di Hengam, (2011), in https://iran.it

[4] Lo stretto di Hormuz e la geopolitica turbolenta del Golfo Persico, (2021), in https://aspeniaonline.it


mercoledì 10 gennaio 2024

Antonio Trogu Concetto di deterrenza nucleare

 

Concetto di deterrenza

L'uso della violenza nei rapporti fra gli stati è stato tradizionalmente visto come lo strumento per distruggere la forza militare dell'avversario e poter disporre delle sue popolazioni. Oggi invece acquista un'importanza sempre crescente un altro uso della violenza: la minaccia di gravi e insostenibili danni alle popolazioni per costringerle alla resa, o comunque spingerle verso determinate decisioni. Questi sistemi sono stati largamente usati fin dai tempi più antichi, ma diventano predominanti nei rapporti di forza nel mondo attuale: dalle lotte fra gang rivali, al terrorismo della guerriglia, al ricatto atomico. In particolare la presenza del ricatto atomico, con le sue apocalittiche implicazioni tende a ispirare una istintiva repulsione verso un tipo di guerra in cui le popolazioni non sono che ostaggi reciproci nelle mani dei contendenti. Teoricamente nessun soggetto politico fa la guerra per la guerra, ma per conseguire obiettivi politici, cioè per creare una situazione di pace che ritiene conveniente. Si fa ricorso alle armi quando si ritiene più opportuno impiegarle che astenersi dal farlo ma le armi sono utili anche se non vengono impiegate. Con riguardo al nucleare l'atteggiamento più razionale, per quanto spiacevole, sembra essere quello di pensare razionalmente a come l'immensa forza distruttiva del ricatto atomico possa essere controllata, usata consapevolmente, resa sempre più flessibile. Thomas C.  Schelling [1] tenta quindi di elaborare delle «regole» coscienti di condotta perché in qualsiasi situazione vi sia sempre un'alternativa all'olocausto totale.[2] Si tratta di uno sforzo originale teso a definire le modalità di un negoziato permanente tra le superpotenze, la cui posta in gioco non è tanto il successo dell'uno o dell'altro blocco, quanta la sopravvivenza della civiltà. Un nuovo linguaggio tra le potenze che prende corpo; un linguaggio in cui il significato delle azioni e delle armi è a volte più importante di quello delle parole un linguaggio  in cui avere tempo, o dare tempo all'avversario di rispondere, può essere vitale. Un contesto in cui la segretezza ha un senso del tutto nuovo, e in cui il fatto che l'avversario «capisca» e sia bene informato è nel nostro stesso interesse. La teoria della deterrenza e della compellenza (Schelling, 1966) si fonda proprio sul paradosso che l'efficacia e quindi l'utilità della forza è direttamente proporzionale alla potenzialità e inversamente proporzionale all'effettività del suo impiego.

A carattere generale vediamo ora gli aspetti importanti della strategia della deterrenza evidenziati da Raymond Aron [3]:

         La deterrenza è al contempo di carattere offensivo e difensivo, convertendo una tattica offensiva (rappresaglia) in una strategia difensiva;

         “La dissuasione dipende tanto dai mezzi materiali di cui dispone lo stato che vuol fermarne un altro, quanto dalla risolutezza che lo stato oggetto di dissuasione attribuisce allo stato che lo minaccia di una sanzione”;

         È importante che il potenziale attaccante possieda la certezza (o almeno un considerevole  dubbio) che le minacce del dissuasore saranno realmente attuate in caso di necessità

Ne consegue l’importanza della percezione dell’avversario, nella considerazione di quanto le potenziali azioni di deterrenza vengono considerate sufficienti a dissuadere

Le relazioni tra stati sono state e sono ancora caratterizzate da un rapporto di deterrenza; l’avversario è dissuaso dall’attaccare perché teme la risposta dello stato attaccato, la quale può concretarsi in una sconfitta per l’attaccante o in un’azione punitiva (rappresaglia) i cui costi per l’attaccante risulterebbero superiori ai benefici derivanti dall’attacco.

La tipologia classica della deterrenza si basa su tre fattori posti in alternativa:

         Deterrenza per negazione all’avversario di benefici (timore della sconfitta);

         Deterrenza attraverso l’imposizione all’avversario di costi eccedenti i benefici (timore della rappresaglia). Tale aspetto riguarda sia le circostanze nel corso della guerra, sia quelle esterne alla guerra stessa;

         Deterrenza in relazione agli attori: diretta, quando riguarda i due soggetti coinvolti; indiretta o estesa, quando la minaccia dissuasiva di rappresaglia implica la presenza di stati terzi, dei quali lo stato dissuasore deve in qualche modo garantire la protezione (“ombrello nucleare”).

          



[1] Economista americano che ha condiviso il premio Nobel 2005 per le scienze economiche con Robert J. Aumann  e’ specializzato nell'applicazione della teoria dei giochi nei casi in cui gli avversari devono interagire ripetutamente

[2] Thomas C. Schelling e la politica di Brinkmanship: una strategia del conflitto come applicazione della teoria dei giochi

[3] Raymond Aron Pace e guerra tra le nazioni   Edizioni di Comunità 1983