Ten. cpl. Art Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Nel determinare il rapporto tra singole scelte e politiche pubbliche si
parte dal presupposto del singolo quale essere economico, teso alla
massimizzazione della propria utilità, per studiare come le preferenze
individuali si trasformino in scelte pubbliche.
Gli attori
coinvolti nel processo decisionale sono: gli
elettori, gli eletti, i funzionari
pubblici, i partiti politici e i gruppi di pressione. Ciascun attore
persegue obiettivi distinti, secondo proprie logiche.
La funzione
di utilità degli elettori è riferita alla quantità di beni e servizi
acquisibili, per questo hanno a disposizione oltre al voto i movimenti di
pressione, di protesta e la possibilità di spostarsi nella giurisdizione di
spesa preferita, mentre il politico agisce per la rielezione e in questo tende
a massimizzare i voti avvicinandosi all’elettorato mediano.
Da queste
semplici premesse si intuisce la complessità del processo decisionale in tema
ambientale, se solo si tengono presenti gli effetti collettivi dell’esternalità
e le relative azioni in spesa pubblica, determinazioni di criteri standard e
forniture di beni.
Dobbiamo
inoltre considerare i diversi livelli di decisione che vengono ad interagire,
sia a livello locale che statale e sovranazionale.
La regola
dell’unanimità sarebbe la migliore nel raggiungere un’allocazione delle risorse
pareto-efficiente, tuttavia questa nella sua possibile realizzazione è
strettamente legata all’ampiezza della collettività, diventando sempre più
difficile con l’allargarsi della base decisionale, in cui prevalgono, tra
l’altro, comportamenti strategici.
Anche la
regola della maggioranza qualificata presenta l’inconveniente di lunghe
trattative, tanto maggiori e difficili quanto più è elevata la maggioranza
richiesta, inoltre la natura di bene pubblico di molte risorse ambientali può
spingere una minoranza interessata e compatta a indurre una maggioranza
scarsamente interessata su alternative meno efficienti, classico il problema
del climate change.
Se è chiaro
il vantaggio derivante dalla scelta secondo il principio dell’unanimità, come
evidenziato da Knut Wickell (1986) con l’imposta di scopo
per il finanziamento di ciascun bene pubblico (nuovo principio della tassazione),
vi è tuttavia il problema della corretta indicazione delle preferenze
individuali, prevalendo comportamenti opportunistici.
Diventa
quindi non utilizzabile l’introduzione del sistema dei prezzi, proprio del
mercato privato, nella scelta delle possibili opzioni secondo il metodo
dell’equilibrio di Lindhal (prezzo-imposta).
Considerando
che maggiore è la percentuale di voti richiesti e più ci si avvicina alle
condizioni di efficienza paretiana, ma altrettanto aumentano i costi, occorre
determinare un trade-off tra i due termini.
Secondo la
regola di Buchanan e Tullock (1962)
la percentuale di votanti costituente la maggioranza ottimale è il punto in cui
la somma dei costi esterni e dei costi della decisione raggiunge il minimo,
naturalmente la regola ottima cambierà a seconda dei casi, essendo che costi
esterni variano con la natura delle decisioni e le caratteristiche sociali
della collettività interessata.
Risulta
pertanto un grosso ostacolo per il modello teorico di Buchanan e Tullock la
conoscenza delle funzioni di costo, tuttavia tale modello ha il merito di avere
evidenziato il problema dei costi relativi a ciascuna regola.
Occorre
quindi distinguere tra scelte costituzionali e non costituzionali, dove per il
primo occorre una maggioranza tendente all’unanimità, mentre nel voto a
maggioranza il risultato tende alle preferenze dell’elettore mediano, vi è
comunque il problema di conoscere i fattori che determinano tali preferenze.
Tuttavia non
sempre il voto a maggioranza favorisce il raggiungimento di una decisione
stabile (paradosso del voto a maggioranza), indipendentemente dall’ordine in
cui sono poste a votazione le alternative se si è in presenza di alternative
estreme.
Inoltre
quando le scelte riguardano più beni pubblici o diversi progetti si possono
verificare maggioranze cicliche, lo stesso dicasi in presenza di questioni
redistributive.
La regola
della maggioranza, se da una parte permette una scelta tra diverse alternative,
dall’altra non permette di rilevare l’intensità delle preferenze, così che una
maggioranza poco interessata può imporsi su una minoranza molto interessata
alla scelta.
Si è pensato
di ricorrere al meccanismo del voto a punteggi ma questo favorisce i
comportamenti strategici allontananti dall’ottimo paretiano, il problema delle
intensità delle preferenze è stato risolto con il ricorso al commercio dei voti
(Logrolling).
Qui vi è un
vicendevole appoggio a seconda del problema in discussione, tuttavia se questo
permette di considerare l’intensità delle preferenze, facilita anche il
prevalere degli interessi particolari con il ridurre il benessere della
collettività.
Si dimostra
veritiero il teorema dell’impossibilità di Arrow (1951) per cui è impossibile definire una
regola di scelta collettiva che soddisfi tutte le seguenti proprietà:
1. Principio di Pareto;
2. Indipendenza da alternative irrilevanti;
3. Dominio non ristretto e non dittatoriale.
Emergono quindi chiaramente le forti
spinte lobbistiche che in molti casi stanno alla base di alcune scelte economiche,
anche ambientali, sia negli interventi in
politica estera che sul territorio, come sulla mobilità o più semplicemente sul cibo e sull’energia,
spinte che rientrano in una visione strategica.
Colossali interessi che possono
spingere attraverso campagne mediatiche verso falsi scopi, dissipando risorse e
tempo, provocando magari ulteriori danni.
Walter Lippman afferma
che la teoria democratica nell’allargare il diritto di voto diventa una
costruzione fondata sulla sabbia essendo i cittadini immaturi, l’unica possibilità
è un “ufficio di intelligenza ( …)
gestito solo da una classe specializzata” che nel perseguire gli interessi comuni eluda “in larga parte l’opinione pubblica” ( F. Petroni, Disincanto
americano,109, il “ Il bluff globale”, Limes 4/2023).
I cambiamenti avvengono a cicli
economici, sociali ed istituzionali, attualmente questi si sovrappongono,
facendo pensare ad un possibile fallimento della capacità di dissuasione e di
gestione di un progetto strategico da parte degli U.S.A., questo anche se la
strategia estera possiede una logica più stabile, determinata dai rapporti
internazionali, rispetto alla politica interna (G. Friedman, Gli Stati Uniti sono prossimi ad un collasso interno, 113
– 118, in “Il bluff globale”, Limes 4/2023).
Bibliografia
· Brosio G., Economia e finanza
pubblica, Carocci 1999.
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