giovedì 19 ottobre 2023

Alessia Biasiolo Sulle Tracce del sacro Graal

 


Sono trascorsi novant’anni dalla pubblicazione de “Crociata contro il Graal” scritto nel 1933 da Otto Rahn, uno storico specializzato in storia medievale e poi ufficiale delle SS nella Germania degli anni Trenta. Ancora una volta tornava alla ribalta il mito del Graal, nato da leggende medievali e reso celebre da noti testi. Anche lo storico Rahn aveva approfondito i trovatori provenzali, perdendosi in Occitania, tra Catari e fortezze, fino a quando deciderà di esplorare Parigi, giungendo alla fortezza di Montségur e in caverne nella zona dei Pirenei per studiarne i graffiti, individuandone alcuni rappresentanti calici che potevano rimandare al famoso Graal perduto, da quando era stato nascosto per impedirne l’uso o la distruzione.

Nel Vangelo di Matteo si legge di Gesù che, durante l’ultima cena prima di essere arrestato e poi condannato a morte per crocifissione, prende una coppa di vino e recita preghiere, come riporta anche l’apostolo Luca, mentre Giovanni non ne accenna affatto. Il calice torna ad essere citato invece da Paolo di Tarso, in una lettera ai Corinzi, ma ancora nei primi decenni del cristianesimo non si sa nulla del bicchiere o della coppa che Gesù avrebbe usato durante la sua ultima cena con gli apostoli. Del resto non sono noti altri oggetti o reliquie che possano essere messi in relazione con la sua vita e di cui sappiamo soltanto attraverso le sacre scritture. La distruzione di Gerusalemme del 70 ad opera delle legioni di Tito, aveva anche fatto perdere le tracce dei luoghi santi nei quali aveva vissuto i suoi ultimi giorni e non aveva aiutato nemmeno la distruzione del 135 per stroncare la rivolta ebraica: soltanto il Muro del Pianto, del tempio costruito da Erode, restava nella sua collocazione originale, a ricordare la storia passata. Sarà con il riconoscimento del cristianesimo come religione dell’impero romano che alcuni personaggi cominceranno ad interessarsi degli avvenimenti della vita di Cristo e cercheranno di trovarvi riferimenti in Terra Santa, soprattutto grazie alla mamma dell’imperatore Costantino, Elena, divenuta poi santa. Sarà lei, infatti, ad ordinare degli scavi affinché si portassero alla luce i luoghi della passione di Gesù. Verranno allora trovati i chiodi e la croce, la corona di spine, la lancia con la quale gli era stato ferito il costato quando era agonizzante in croce, la spugna con la quale gli si era dato qualcosa da bere e poi il Santo Sepolcro, luogo sul quale venne fatta edificare una basilica. Eusebio di Cesarea scrisse quindi la “Storia ecclesiastica”, sempre per volere di Elena che così metteva le basi per la storia del cristianesimo. Il calice venne visto da alcuni pellegrini in una nicchia della basilica del Santo Sepolcro nel IV secolo, ma poi se ne persero le tracce, che forse nessuno cercava. Infatti, trascorsero circa ottocento anni prima che il calice della passione tornasse a fare parlare di sé grazie ad una serie di leggende che identificarono il calice usato da Cristo con il Santo Graal degli antichi miti celtici. Verso il 1135, Goffredo di Monmouth scrisse la “Storia dei re di Britannia” in cui ricostruì la storia di Artù, già apparso nella “Storia dei bretoni” di Nennio nel IX secolo. Nel 1155, Robert Wace al servizio di Eleonora d’Aquitania, regina di Francia e poi regina d’Inghilterra, scrisse “Roman de Brut”, basato sul testo di Monmouth: appare di nuovo il re Artù che conquista il trono grazie alla spada Excalibur e che fonderà i Cavalieri della Tavola Rotonda. La vivacità della corte d’Aquitania fece sì che numerosi scrittori e trovatori potessero attingere a quelle storie, vivacizzandole a loro volta e portandole in giro per il mondo. Tra questi, Chrétien de Troyes scrisse numerosi romanzi tra i quali “Perceval, o il racconto del Graal”, così come Maria di Francia produsse molti lais su Artù e il santo Graal. Il ciclo arturiano divenne così famoso che nel 1191 venne scoperta la tomba di Artù nell’abbazia inglese di Glastonbury. Sarà il poeta Robert de Boron a fare diventare quella di Artù una leggenda cristiana nella quale compariva Giuseppe d’Arimatea che, oltre ad essere il proprietario della tomba dove venne deposto il corpo di Gesù una volta tolto dalla croce, aveva anche portato il calice dell’ultima cena in Inghilterra: siamo verso il 1200 e il calice già era identificato con il Graal. Nel calice Giuseppe stesso aveva raccolto alcune gocce di sangue di Cristo. Verso il 1210 Wolfram von Eschenbach, probabilmente un cavaliere templare, scrisse “Parzival”, romanzo che raccontava le gesta di un cavaliere della Tavola Rotonda poi incoronato come sovrano nel castello del Graal. Ecco che nel 1220 tutti i tasselli della storia del re di Britannia Artù erano completi. Esisteva l’isola di Avalon, il re e i suoi cavalieri risiedevano a Camelot, la spada Excalibur, la Tavola Rotonda attorno alla quale si riuniscono dodici cavalieri e il re Artù, a ricordo dell’Ultima Cena. Poi c’è il Santo Graal, la moglie di Artù Ginevra, Lancillotto e Perceval. Tutti i luoghi, i fatti e i personaggi del ciclo arturiano sono inventati, ma rimandano a personaggi reali come Giuseppe d’Arimatea, Artù, Alfonso I d’Aragona che pare abbia ispirato il Re Pescatore, nel trascorrere dei secoli. Nei decenni seguenti i cavalieri ebbero l’importante compito di ritrovare il Graal in una sorta di pellegrinaggio alla ricerca di se stessi, del proprio ruolo nel mondo e della propria fede. Allora diventa una missione collettiva ricercare il calice perduto, resistendo alle lusinghe materiali e carnali che diventano una prova selettiva che designerà il migliore come vincitore: egli sarà degno di avere il Graal perché, come Gesù, aveva resistito alle tentazioni del demonio. I posti alla Tavola Rotonda sono tredici e il mago Merlino aveva lasciato il tredicesimo posto proprio a colui che avrebbe trovato il calice sacro: sarebbe stato l’incarnazione di tutte le virtù cristiane perché, se si sedeva a quel posto chi non ne era degno, sarebbe stato colpito dalle peggiori sciagure. Quel cavaliere doveva essere forte come Lancillotto, coraggioso come Artù, ma doveva anche essere puro di cuore. Uno di questi sarà Perceval che raggiungerà il castello del Graal del Re Pescatore, ma non sarà abbastanza puro di cuore per afferrare il calice. Arriverà poi Gawain, nipote di Artù, e Lancillotto che sembrava la persona adatta per ricevere il calice, ma la passione amorosa l’aveva tradito, così come lui aveva tradito il suo re. Sarà suo figlio Galahad, nato dall’inganno di Elaine che fingerà di essere Ginevra, a prendere il posto del Re Pescatore, ad avere il Graal e a dimostrarsene degno perché era stato capace, come Gesù, di resistere a qualsiasi tentazione. Lui era il cavaliere perfetto, libero dal peccato, l’eletto, come aveva predetto Merlino.

Alla vicenda secolare del Graal si era appassionato anche Heinrich Himmler, non soltanto interessato all’occulto come Hitler, ma collezionista di oggetti preziosi e particolari. Per quel motivo metterà Otto Rahn in un ufficio di ricerca dell’Ahnenerbe e poi lo fece entrare nelle SS con le quali parteciperà alla ricerca in Islanda delle caverne testimoni del culto di Odino e di Thor. Nel 1937 Rahn dà alle stampe “La Corte di Lucifero” commissionatogli da Himmler e forse scritto controvoglia, con contenuti forse rimaneggiati dai censori nazisti e non è certo se con l’autorizzazione dell’autore stesso. Il libro metteva insieme anni di ricerche, mentre nuvole nere si addensavano sullo stesso Rahn per via della sua omosessualità e, forse, per origini ebraiche, caratterizzato dalla scarsa disciplina militare e dedito all’abuso di alcol che lo faranno internare a Dachau e poi a Buchenwald. Nel 1938 Otto si dimise dalle SS e infine il suo cadavere verrà rinvenuto nell’aprile del 1939, forse morto per ipotermia o forse per abuso di sonniferi, anche se intorno alla sua morte si chiacchierò molto.

In ogni caso non si spegneva l’interesse mistico già della Thule-Geselleschaft, una società fondata nel 1910 e che già basava le proprie teorie sull’antisemitismo, la purezza della razza ariana, la ricerca della realizzazione dei miti germanici che avrebbero portato la Germania al ruolo dominante che gli adepti della società pensavano le spettasse per la sua superiorità razziale. Sarà del 1913, poi, la nascita della teoria del Ghiaccio Cosmico, secondo la quale cataclismi e cambiamenti della forza di gravità del pianeta Terra avrebbero portato alla nascita di giganti e all’inabissamento di tre continenti, quali Atlantide, Lemuria e Mu. I discendenti dei cittadini di Atlantide scampati al cataclisma sarebbero gli iperborei di Thule (mitica isola forse tra le Orcadi rimasta salva e descritta nel 325 a.C. da Pitea di Marsiglia) da cui deriverebbero i popoli germanici, e alcune vette di Atlantide rimaste visibili sarebbero le Canarie, le Azzorre, l’isola di Sant’Elena, oltre all’altopiano della Groenlandia, Islanda e Terranova. Nel 1933 James Hilton darà alle stampe “Orizzonte perduto” in cui ci sono ancora vari riferimenti a questa storia. I concetti della Thule-Gesellschaft erano condivisi con la Società Teosofica tedesca, oltre che da altri circoli britannici, e molti miti fondanti delle società entreranno a far parte del programma politico di Hitler. L’isola di Thule verrà assunta come patria mitica degli ariani che spiegheranno così l’origine della loro razza, pescando tra i miti classici tramandati tra epica e leggenda, insistendo sulla caratteristica della superiorità razziale. Vennero pertanto travisati molti scritti greco-romani e gli stessi dialoghi platonici, così come il mito della Thule stesso, cercando di dimostrare che i popoli latini fossero appartenenti alla superiore razza germanica il cui primo insediamento era stato in Val Camonica, in Italia. Le speculazioni si allargano anche al manoscritto in frisone antico che racconta l’epopea dei Frisoni dal 2194 a.C. fino all’803 d.C., indugiando soprattutto sul passato mitologico e religioso delle tribù germaniche. Il testo venne tradotto in tedesco nel 1933 e venne sposato sempre da Himmler, cultore della Thule come origine della popolazione di semidei e superuomini che, equiparati ai giganti, con la pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli biondi, costituivano il più alto esempio di razza e di razza ariana. Su questo si basava il mito della grande Germania, che soltanto fondando il proprio credo di costruzione di una società giusta e saggia, unica e dominatrice su storie lontane, poteva dimostrare di essere erede e guida di una rivoluzione che era scritta nella notte dei tempi. Molti gerarchi nazisti tra i quali Rudolf Hess e Himmler stesso, erano affiliati delle società mistiche, la Thule compresa, e si spesero per la ricerca dell’eredità ancestrale. Hitler sarà l’uomo deputato a riportare in auge gli antichi miti, coadiuvato dai suoi collaboratori. Ecco allora che la sede iniziatica delle SS venne posta da Himmler nel castello di Wewelsburg, in Vestfalia, dove i giovani scelti mantenevano rituali propri dei Cavalieri della Tavola Rotonda e poi dei Cavalieri teutonici ai quali si riferivano, adattando storie a proprio vantaggio. Basilare sarà anche la divinità germanica precristiana Wotan, Odino, al quale sembra che Hitler stesso fosse votato, soprattutto dopo un risveglio religioso probabilmente avuto dopo una battaglia della prima guerra mondiale, alla quale aveva partecipato, e per aver seguito il consiglio mistico di lasciare l’ospedale dov’era ricoverato poco prima che venisse colpito da una granata, giustificando in questo modo la sua missione come scritta nei tempi. Tutto il misticismo verrà affidato alle SS dal 1933, anno che già era stato predetto come momento di grandezza per il partito nazista: sarà infatti l’anno in cui Hitler si insedierà come cancelliere della Germania. Saranno molti i simboli e i gesti che i nazisti utilizzeranno mediandoli dai miti antichi, compreso l’uso della croce uncinata, simbolo del dio nascente presente nelle prime comunità cristiane, ma anche simbolo originario della società Thule-Gesellscehaft. Per ricercare l’insegnamento dell’eredità ancestrale, venne fondata nel 1935 da Heinrich Himmler con Wirth e Darré, la Ahnenerbe che non solo condusse ricerche e studi come quelli relativi al sacro Graal, ma si occupò di creare una storia basata sulla superiorità della razza tedesca. Hitler volle la Heilige Lanze che la tradizione vuole fosse quella adoperata dal centurione Longino per trafiggere il costato di Cristo sulla croce, così come appoggiò la ricerca del Sacro Graal. Nel 1944 le SS misero a ferro e fuoco un paese francese colpevole, a loro dire, di avere occultato la sacra reliquia che doveva essere recuperata per il Terzo Reich.

Alessia Biasiolo

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