Mentre le forze armate irachene combattono per strappare i quartieri ovest della città di Mosul agli jihadisti del sedicente Stato Islamico (Isis), si è già aperta la discussione, tra le varie forze politiche irachene, su che cosa ne sarà del Paese dopo l’eradicazione dell’autoproclamato Califfato.
Le forze politiche in Iraq si sono sempre divise lungo direttrici religiose, sciiti e sunniti, o etniche, come nel caso dei curdi. In questo momento si aggiungono però molte divisioni anche interne ai diversi blocchi che condannano il Paese allo stallo.
Tre sono i temi chiave di questo dibattito: la legge elettorale, la gestione dei territori riconquistati all’Isis e il ruolo futuro delle milizie irregolari.
Una nuova legge elettorale Attualmente in Iraq la legge elettorale è proporzionale e permette una grande rappresentanza ai partiti che hanno un forte consenso concentrato in alcuni dei 18 distretti in cui è diviso il territorio nazionale. Questo sistema non premia i partiti che riescono a raccogliere un buon livello di consenso su base nazionale, ma sostiene partiti e movimenti politici che si strutturano su linee identitarie e religiose.
Proprio sulla legge elettorale si scontrano i due esponenti più conosciuti della maggioranza sciita del Paese: l’attuale vice presidente Nouri al Maliki, ex primo ministro iracheno dopo l’occupazione americana, e il religioso sciita Muqtada Al Sadr.
Al Maliki mira a riconquistare il potere perso alle scorse elezioni e a riassicurarsi la guida del Paese, usando come strumento di consenso le vittorie militari contro l’Isis, presentandosi come ideatore del piano militare e cercando di attrarre allo stesso tempo anche una parte della popolazione sunnita attraverso l’alleanza silenziosa con Salim al-Jubouri, presidente del Parlamento iracheno.
L’ intenzione dell’ex primo ministro sarebbe quella di lasciare la legge elettorale com’è attualmente, preferendo accordi, anche inter-identitari, tra i partiti, volti a difendere il potere e i privilegi dell’elite irachena a Baghdad.
Personalità e programmi a confronto Al Sadr, invece, è il leader dell’opposizione sciita ad al Maliki: nipote del noto Ayatollah Al Sadr, esercita un grande potere di attrazione sulla popolazione, in particolare nella capitale e nel Sud. Gli ultimi mesi hanno visto numerose grandi manifestazioni, all’interno della zona verde di Baghdad, organizzate dai seguaci di Al Sadr per chiedere riforme in tema di lotta alla corruzione, considerata il vero male dell’Iraq, e in tema di legge elettorale.
Il religioso vorrebbe una modifica della legge elettorale con un’apertura reale a tutti i partiti, sapendo di poter attirare grande consenso in tutte le parti del Paese e sapendo di potere anche contare sul supporto di diversi partiti minori.
La visione di Al Sadr trova consenso nella popolazione del Sud dell’Iraq, in maggioranza sciita, che spera in un cambio di rotta politica che possa garantirle un grado di benessere e un grado d’attenzione della politica maggiore.
Il ruolo dell’Iran e la società civile D’altra parte i gruppi minoritari, come quello curdo e anche quello sunnita, sono più vicini alla posizione dell’ex primo ministro Al Maliki, che permette loro di avere garantita una rappresentanza forte senza cercare di attirare consenso in altri gruppi.
Bisogna tenere conto anche della posizione del governo di Teheran, che molto conta nelle vicende irachene. Il governo Rohani formalmente sostiene un totale sviluppo del Paese, che avverrebbe attraverso la misura proposta da Muqtada Al Sadr, ma le forze più conservatrici, l’esercito e il leader supremo, Ali Khamenei, riterrebbero utile non minare il sistema identitario, che rende più facile la gestione del Paese.
In questo clima è stata avanzata la proposta del partito Coalizione dei Cittadini: un accordo nazionale per formare un governo di coesione con all’interno tutte le forze politiche e cercare di rinnovare la costituzione, combattere la corruzione e ammodernare il Paese.
Il movimento di Muqtada Al Sadr ha aderito alla proposta, ma tutte le altre forze politiche si sono rifiutate di sostenerla. A decretare la morte dell’iniziativa è arrivata la condanna della più importante figura religiosa sciita in Iraq, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, che ha definito inutile la formazione di un nuovo governo di coalizione nazionale, che riporterebbe solo il Paese indietro nel suo percorso.
Le regioni liberate e le milizie irregolari La gestione dei territori liberati e il ruolo delle milizie irregolari sono due questioni chiave per il futuro dell’Iraq, che però vanno affrontate insieme per poter essere capite a fondo. Anche su questi temi, le visioni che si scontrano e che fanno schierare, con una o con l’altra, le altre forze politiche sono quelle di Nouri al Maliki e Muqtada Al Sadr.
Il religioso sciita ha chiesto ripetutamente che le bande irregolari vengano sciolte, che le armi vengano consegnate alle forze armate e che i soldati ritornino alle regioni native lasciando la gestione dei territori recentemente liberati allo Stato.
Al Maliki, che sostiene e foraggia alcune delle più importanti milizie sciite, vede questa questione in modo totalmente differente. Teme infatti che, senza la forza delle milizie sciite armate, potrebbe essere sopraffatto dalla forza popolare che il leader religioso può scatenare; e teme inoltre di perdere gli alleati sunniti e curdi, che in questo momento voglio mantenere attive tutte le proprie milizie. I primi per difendersi da eventuali vendette sciite e gli altri per capitalizzare politicamente lo sforzo bellico che hanno portato avanti contro l’Isis.
Di conseguenza, le regioni liberate restano tenute in scacco da brigate di miliziani che instaurano un controllo diretto sul territorio, che durerà almeno fino alla totale sconfitta del sedicente Stato Islamico.
Come si può vedere da questo quadro l’ostacolo più grande allo sviluppo dell’Iraq restano le divisioni identitarie, che, assumendo un carattere settario, flagellano il Paese dal 2003 e restano prepotentemente presenti all’interno del panorama politico.
Emanuele Bobbio è laureato all’Università di Roma la Sapienza in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collabora con diversi giornali universitari mentre porta a termine la magistrale in International Relations presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna.
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