mercoledì 25 gennaio 2017

Stato Islamico: dopo la caduta di Aleppo

Lotta al Califfato
Fine sedicente stato islamico non passa per Raqqa
Lorenzo Kamel
17/01/2017
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La “caduta” di Aleppo e l’attacco terroristico di Berlino sono coincisi con la pubblicazione di un ampio numero di articoli focalizzati principalmente sulla sicurezza dei paesi europei e sul futuro della guerra in Siria.

Molti studiosi sostengono che la minaccia terroristica in Europa non cesserà fino a quando non cadrà Raqqa, la capitale de facto dell’autoproclamato “stato islamico”. Parafrasando lo storico francese Jean-Pierre Filiu, “as long as Raqqa stands as the operational command center for ISIL terror attacks, Europe will be struck again and again”.

A quasi sei anni dallo scoppio della guerra civile siriana, sintomi, cause e soluzioni vengono ancora oggi sovente confusi. L’evoluzione dello “stato islamico” ha in realtà poco a che spartire con le sorti di Raqqa: il suo futuro si deciderà in larga parte a migliaia di chilometri di distanza dalla città siriana.

Da Al-Wahhab ad Al-Baghdadi
Da un punto di vista ideologico, non si potrà dire di aver sconfitto i terroristi fedeli ad Abu Bakr Al-Baghdadi fino a quando non si assisterà a una presa di coscienza più ampia riguardo l’influenza che ancora oggi esercita il wahhabismo in relazione alla moderna identità saudita.

È significativo in questo senso che il “califfato” continui a distribuire copie dei testi del fondatore del wahhabismo, Ibn ʿAbd al-Wahhab, nelle aree dell’Iraq e della Siria sotto il suo controllo e che si rifaccia a molte delle sue tesi più influenti.

L’identità saudita moderna è legata a due componenti di base. La prima è ricollegabile a Ibn ʿAbd al-Wahhab e alle dinamiche attraverso le quali il “puritanesimo” di cui si fece portatore venne adottato da Muhammad ibn Saud nella metà del Settecento. Le seconda è riconducibile a re Abd-al Aziz, il quale negli anni ’20 del Novecento istituzionalizzò l’originario impulso wahhabita attraverso la fondazione dello Stato.

Per una percentuale non trascurabile di sauditi, l’ascesa dello “stato islamico” rappresenta un ritorno alle origini del progetto saudita-wahhabita. Ciò contribuisce a spiegare la ragione per la quale un numero così ampio di sauditi abbia deciso di partire per la Siria e l’Iraq, dove costituiscono il secondo maggior numero di combattenti stranieri.

Kasserine, dove i jihadisti reclutano tra il disagio 
Da un punto di vista più pratico e operativo, il futuro dello “stato islamico” verrà in larga parte deciso nelle periferie tunisine (e in quelle di altri paesi nella regione), da dove proviene il più ampio numero di combattenti stranieri (“foreign fighters”) attualmente presenti in Siria e Iraq.

Come spiegò Shams Talbi, un 55enne di Kasserine, “molti giovani della nostra zona considerano l’Isis come un mezzo utile a riconquistare la loro dignità”. Fino a quando l’integrazione economica e sociale di aree marginalizzate come Kasserine non sarà percepita come una priorità, un numero crescente di giovani tunisini (e non solo) vedranno in gruppi criminali come l’Isis degli “equalizzatori socioeconomici”.

Banlieues e secolarismo 
Il futuro dello “stato islamico” continuerà ad avere molto a che fare anche con le banlieues in Francia, un Paese in cui il 70% della popolazione carceraria è musulmana (sebbene solo l’8% del totale dei francesi sia musulmano) e da dove viene il più ampio contingente di combattenti stranieri provenienti dall’Europa.

Come notato da William McCants e Christopher Meserole, la Francia è il solo Paese in Europa, insieme al Belgio, a vietare il velo integrale nelle scuole pubbliche ed è l’unico Paese nell’Europa occidentale (insieme al Belgio) a non ottenere il voto più alto per la sezione democrazia nei punteggi del “Polity score”.

L’approccio oltremodo aggressivo della Francia nei riguardi della laïcité, che ha trasformato la “francité” in una sorta di religione post-religiosa basata sul presupposto che una persona non possa essere parte integrante della società senza essere laica, contribuisce a spingere i musulmani meno integrati verso l’isolamento: un assist prezioso alle politiche di reclutamento portate avanti da estremisti di varia provenienza sul suolo europeo.

Regimi come parte del problema
Ultimo ma non meno importante, la caduta di Raqqa non decreterà la fine delle criminali strategie dello “stato islamico”, in quanto quest’ultimo seguiterà ad alimentarsi (probabilmente assumendo nuove forme nuove) dei risvolti delle politiche attuate da numerosi Paesi - Russia inclusa - che continuano a considerare regimi oppressivi come l’Arabia Saudita o l’Egitto come parte della “soluzione”, piuttosto che una componente del “problema”.

Parafrasando quanto riferito da un ex generale israeliano all’ex ambasciatore israeliano a Washington Michael Oren (2015), “Why won’t Americans face the truth? To defend Western freedom, they must preserve Middle Eastern tyranny”.

La caduta di Raqqa segnerà un importante successo, ma non sarà sufficiente a rovesciare il paradigma che sta alla base di questo modo di ragionare, né a minare il retroterra ideologico che continua ad alimentare lo “stato islamico”.

Lorenzo Kamel è responsabile di ricerca allo IAI, Marie Curie Experienced Researcher all’Università di Friburgo/FRIAS e non-resident Associate al CMES dell’Università di Harvard.

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