mercoledì 14 ottobre 2015

Turchia: dopo l'attetato.

Medio Oriente
Turchia, violenza pensando alle urne
Marco Guidi
12/10/2015
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Chi è stato? Ma soprattutto a chi giova? Il terzo e più sanguinoso attentato che ha funestato la Turchia (prima Diyarbakir, poi Suruç e ora Ankara) pone queste domande.

Secondo il governo turco la responsabilità è del Daesh, l’autoproclamatosi “stato islamico” che vuole destabilizzare il Paese. Ma l’opinione comune di tanti turchi, non necessariamente laici e di sinistra, identifica nello stato profondo, quel misto di servizi segreti, estremisti di destra, poliziotti, magistrati, ambienti governativi, il vero responsabile degli attentati.

Hdp, ostacolo al progetto di Erdogan
Al di là dei diversi pareri, è chiaro che colpire i curdi moderati dell’Hdp, il Partito democratico dei popoli, fa il gioco dell’Akp (Partito giustizia e sviluppo) del presidente Racep Tayyip Erdogan. Le elezioni del giugno scorso hanno visto l’Akp perdere il 9% dei voti e l’Hdp superare di un balzo lo sbarramento del 10%, raggiungendo oltre il 13% dei consensi.

Perché dal risultato del partito curdo moderato, che alle ultime elezioni ha raccolto centinaia di migliaia di voti non curdi, ma di turchi laici, giovani, imprenditori, intellettuali, dipende la partita che Erdogan sta giocando.

Se l’Akp riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta sarà possibile impostare quella riforma costituzionale che farebbe della Turchia una repubblica presidenziale (simile alla Russia di Putin) con Erdogan che vuole essere presidente nel 2023, quando la Turchia repubblicana festeggerà il suo primo secolo di vita.

E l’Hdp è il principale ostacolo a questo progetto. Anche perché il Chp (Partito repubblicano del popolo) fondato da Kemal Ataturk, non appare competitivo. In quanto all’estrema destra, rappresentata dal Mhp (Partito di azione nazionalista) con il suo 16% dei voti viene visto come un possibile alleato di Erdogan piuttosto che come un rivale politico.

Come del resto si è dimostrato negli ultimi mesi quando proprio lo Mhp ha fatto fallire ogni tentativo di arrivare a un esecutivo di coalizione che comprendesse gli odiati membri dell'Hdp.

Tra repressione ed epurazione
Del resto è l’agire stesso di Erdogan e della magistratura da lui completamente asservita che negli ultimi tempi ha destato, non solo in Turchia, ma in tutto il mondo civile fortissime preoccupazioni.

L’agguato a un giornalista di Hurriyet, portato a termine da un commando di militanti dell’Akp seguito dall’arresto del direttore dell’edizione inglese di Zaman, “colpevole” di aver espresso in un twitter dubbi sull’onestà di Erdogan, sono solo gli ultimi episodi di una vera e propria pulizia etnica del presidente e del suo partito nei confronti di chiunque non si allinei servilmente alla loro politica.

Le epurazioni massicce tra le fila della polizia, dell’esercito, della magistratura, degli imprenditori (famoso l’attacco al gruppo editoriale Dogan con una serie di processi per presunte evasioni fiscali e con multe multimiliardarie), la repressione selvaggia delle manifestazioni di Gezi Park sono la prova lampante della situazione che si vive in Turchia.

Solo che la repressione non basta, solo che la crisi economica che ha colpito il Paese anatolico dopo gli anni del boom, la disoccupazione, l’inflazione a due cifre hanno eroso la posizione dell’Akp.

Che però va avanti nelle sue prevaricazioni e nella lotta senza quartiere anche contro altri islamici, quelli del movimento Hizmet (servizio) fondato da Fethullah Gulen. Gulen, predicatore di una forma aperta e moderna di Islam, vive da anni negli Stati Uniti, ma ha aperto scuole, filiali, imprese non solo in Turchia, divenendo una vera potenza nel campo della cultura, dell’istruzione e conquistando larghe fette di opinione pubblica e nelle file di polizia e magistratura.

Agli inizi Gulen sostenne Erdogan, poi di fronte alla radicalizzazione imposta a tutta la società i rapporti tra i due si sono guastati, degenerando in una guerra senza esclusione di colpi (fino alla richiesta agli Usa di estradarlo per terrorismo). Una guerra che Erdogan sta vincendo, ma che lascia i segni.

Politica estera turca
Per finire va velocemente esaminata la situazione della politica estera turca. Caduto il progetto dell’allora ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu di fare dei Paesi confinanti degli alleati se non dei clienti della Turchia “neottomana” oggi Erdogan conduce una guerra senza quartiere contro il siriano Bashar al Assad e ne ha iniziata una altrettanto dura contro i curdi non solo del Pkk. Questo anche in funzione anti-Hdp, tesa a dimostrare che tutti i curdi sono terroristi.

Guerra molto meno dura contro il Daesh, che peraltro è stato favorito in molti modi dalla Turchia, dai permessi di passaggio ai volontari stranieri che raggiungevano lo Stato islamico, ai rifornimenti di ogni tipo.

Rifornimenti svelati da un servizio del quotidiano Cumhuriyet (Repubblica). In questo quadro chi appare confusa è l’Unione europea, i cui atteggiamenti sono perlomeno stravaganti. Una Unione al cui ingresso la Turchia, peraltro, non aspira più.

Marco Guidi è giornalista esperto di Medio Oriente e Islam, a lungo inviato di Il Messagero, in Turchia e nel mondo arabo. Dalla sua fondazione insegna alla Scuola di giornalismo dell’Università di Bologna.
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