martedì 18 novembre 2014

Israele: ancora conflitti da affrontare

Conflitto israelo-palestinese
L’intifada di Gerusalemme
Andrea Dessì
11/11/2014
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Una nuova intifada a bassa intensità sembra sconvolgere Gerusalemme, attraversata da un’escalation di violenza e tensioni che mancavano da anni.

Come in passato, il fulcro delle violenze si trova nella città vecchia e nelle zone direttamente limitrofe a questo involucro di mura - il cosiddetto ‘bacino sacro di Gerusalemme’ - dove sono concentrati gran parte dei monumenti storico-religiosi cari alle tre fedi monoteistiche.

Da parte israeliana, Naftali Bennett, Ministro dell’economia nel governo di Benjamin Netanyahu, inneggia a un’operazione militare per ripulire la città dai rivoltosi. Nel farlo s’ispira alla controversa operazione ‘scudo difensivo’ guidata all’apice della seconda intifada dall’allora primo ministro Ariel Sharon che portò a una momentanea rioccupazione di gran parte delle principali città palestinesi in Cisgiordania.

Da parte palestinese invece continuano le manifestazioni e gli scontri con le forze armate israeliane, che nel giro di poche settimane hanno portato all’arresto di almeno 200 persone a Gerusalemme.

Intanto, sono saliti a due gli attacchi contro cittadini israeliani da parte di autisti palestinesi che dirigono la loro vettura a tutta velocità cercando di investire gruppi di passanti per le strade di Gerusalemme.

Contesa come capitale da israeliani e palestinesi, Gerusalemme rappresenta il fulcro delle espressioni nazionali delle due comunità. In molti considerano la questione di Gerusalemme la più complessa delle famose final status issues (confini, sicurezza, rifugiati) e non è un caso che fu proprio a Gerusalemme che la provocazione di Ariel Sharon nel visitare la spianata delle moschee provocò la scintilla per lo scoppio della seconda intifada nel settembre 2000 (in arabo appunto viene ricordata con il nome della moschea di Gerusalemme, Al-Aqsa Intifada).

Microcosmi di occupazione 
Oggi come allora, queste esplosioni di violenza sono riconducibili all’ultimo recente fallimento dei negoziati di pace, alle azioni irresponsabili di alcuni politici israeliani che sembrano intenti a buttare benzina sul fuoco e al continuo divario nei servizi dati alle due comunità residenti nella città.

A questi fattori si aggiungono l’operazione militare contro la Striscia di Gaza e il recente incremento di occupazioni, sfratti e demolizioni da parte dell’esercito israeliano nella città di Gerusalemme e dintorni.

In questo clima di tensione s’inseriscono diverse dichiarazioni provocatorie da parte di membri del governo Netanyahu e azioni di organizzazioni di estrema destra come Elad che lavorano a sostegno del movimento dei coloni.

Proprio Elad, insieme a Ateret Cohanim, ha recentemente orchestrato, attraverso una serie di acquisizioni sospette e occupazioni di case palestinesi, un piano che ha portato al raddoppio della popolazione israeliana nel quartiere arabo di Silwan, a pochi passi dalla città vecchia. È qui che si trova anche la Città di Davide, un grande sito archeologico che il governo israeliano ha dato in gestione proprio a Elad.

Intanto nei mesi passati, Uri Ariel, ministro delle abitazioni dell’attuale governo israeliano, si è più volte espresso sulla necessità di “incrementare la sovranità israeliana” sulla spianata o di “sostituire Al-Aqsa” e di dare ai cittadini israeliani il diritto di visitare la zona, anche se la pratica è espressamente vietata dai più alti rappresentanti della fede ebraica.

Fu lo stesso Uri Ariel a mandare in frantumi i negoziati guidati dal Segretario di Stato Usa John Kerry, quando (ri)annunciò pubblicamente la costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme proprio quando Kerry stava tentando di convincere i palestinesi a estendere i negoziati.

Mogherini in Israele e nei territori occupati
Mentre gli scontri a Gerusalemme continuano - coinvolgendo in particolare anche il grande campo profughi di Shuafat a Gerusalemme est - la Giordania richiama l’ambasciatore e il governo Netanyahu cerca di abbassare i toni, dichiarandosi impegnato a preservare lo ‘status quo’ sulla spianata della moschea.

In tutto ciò, la neo-eletta alta rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Federica Mogherini ha dovuto subito destreggiarsi nelle controverse realtà del conflitto israelo-palestinese.

La scelta di designare Israele e i territori occupati palestinesi come sua prima visita ufficiale da nuovo ministro degli esteri europeo è lodevole e coraggiosa.

Recandosi anche nella Striscia di Gaza, , il messaggio da parte dell’Ue è stato chiaro. Sostegno al governo di unità nazionale palestinese capeggiato da Mahmoud Abbas; sforzo congiunto per attuare una veloce ricostruzione e riabilitazione della Striscia di Gaza che possa aiutare a cementare la popolarità di questo governo e arginare così il rischio di un nuovo conflitto; impegno urgente per una ripresa dei negoziati sulla base della formula dei due stati; e una ferma presa di posizione a favore della sicurezza di Israele, ma al contempo contro il continuo costruire di insediamenti nei territori palestinesi, incluso Gerusalemme est.

Riconoscimento della Palestina
Per Mogherini il dossier israelo-palestinese rappresenterà un tema centrale durante i primi mesi del suo mandato. Dovrà cercare una posizione comune all’interno dell’Ue sulla questione di votare a favore o meno sulla risoluzione delle Nazioni Unite che presto la leadership palestinese promette di portare al voto, sia nel Consiglio di Sicurezza che nell’Assemblea Generale.

Dopo il riconoscimento della Svezia, il voto a favore del parlamento del Regno Unito, altri paesi europei stanno considerando l’opzione di riconoscere ufficialmente la Palestina come stato.

In Italia sono state presentate tre mozioni parlamentari, due alla Camera e una al Senato, ma non sono state ancora calendarizzate. In assenza di un vero cambiamento di rotta da parte del governo israeliano sulle questioni di Gaza e degli insediamenti, il governo Renzi dovrebbe iniziare ad affrontare seriamente la questione del riconoscimento palestinese, se non altro per mandare un segnale forte e chiaro alla leadership israeliana, sempre meno impegnata nella visione dei due stati.

Andrea Dessì è dottorando in relazioni internazionali alla Lse di Londra dove lavora sui rapporti Usa-Israele e Junior Researcher allo IAI.
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