sabato 20 aprile 2024

Antonio Trogu. Produzione e sviluppo nucleare, proliferazione verticale e orizzontale

 

Produzione e sviluppo, proliferazione verticale e orizzontale

Nel ventesimo secoloStati Uniti e Unione Sovietica intrapresero una corsa al riarmo basata sulla produzione e sullo sviluppo di sempre più potenti armi nucleari. Nell'immediato dopoguerra al termine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano inferiori ai sovietici nel campo della missilistica a medio raggio, ma recuperarono il divario tecnologico con il lavoro di scienziati tedeschi sopravvissuti al collasso della Germania nazista. Di contro, l'URSS indirizzò le forze della sua economia pianificata nella direzione della corsa al riarmo e con lo sviluppo del missile SS-18 alla fine degli anni settanta, raggiunse la supposta capacità di sferrare un "primo attacco" agli occidentali con possibilità di successo.

Al culmine della corsa agli armamenti, a cavallo tra il 1960 e il 1970, Stati Uniti e Unione Sovietica arrivarono a spendere ciascuna tra i 70 e gli 80 miliardi di dollari all'anno in armamenti. L'economia degli Stati Uniti si rivelò la sola in grado di sostenere lo sforzo, non essendo impegnata nella ricostruzione grazie alla sostanziale assenza di combattimenti sul territorio metropolitano americano. Al contrario, l'Unione Sovietica, le cui infrastrutture avevano subito estesi danni durante il conflitto, non era in grado di reggere il confronto indefinitamente; in aggiunta uno sforzo economico prolungato avrebbe ridotto la disponibilità di beni di consumo primari per i suoi cittadini. Gli scompensi causati dalla competizione per la corsa agli armamenti con gli Stati Uniti, crearono grossi problemi economici durante il tentativo del leader sovietico Michail Gorbaciov di mettere in atto la sua idea di konversiya, la transizione verso una economia mista, e accelerò il collasso dell'Unione Sovietica. Poiché le due superpotenze , piuttosto che seguire un piano predeterminato si impegnavano meramente a competere l'una contro l'altra nell'accumulare armamenti, entrambe presto raggiunsero una capacità di distruzione enormemente superiore a quella necessaria per sconfiggere l'avversario.

Accanto alla proliferazione orizzontale, ossia all’ingresso di nuovi membri nel gruppo nucleare, si parla anche di proliferazione verticale, cioè l’aumento e l’ammodernamento degli arsenali. Oltre alle bombe A e H, sono state sviluppate la bomba al neutrone (bomba N), che sprigiona la maggior parte della sua energia sotto forma di radiazioni, e la bomba al cobalto (bomba gamma o G), in cui, al momento dell’esplosione, i neutroni prodotti si uniscono al cobalto, forte emettitore di raggi gamma. Sono state poi progettate le bombe sporche (o armi radiologiche), costituite da materiale radioattivo non fissile (che quindi non può esplodere) trattato in modo da essere molto volatile e associato a una carica esplosiva per disperdere il materiale radioattivo nell'ambiente, contaminando cose e persone. Accanto a queste è già in sperimentazione l’utilizzo di bombe atomiche miniaturizzate, una nuova generazione di testate nucleari di bassa potenza (low yield warheads o mini-nukes).

La proliferazione orizzontale di armi nucleari e, in generale di distruzione di massa, identifica  nel Terzo Mondo un “triplice” problema: 1) rimette in discussione i rapporti di forza con l’Occidente; 2) pone armi potenzialmente distruttive nelle mani di leader impreparati a controllarne la gestione; 3) crea il rischio di acquisizione di tali armi da parte di organizzazioni terroristiche transnazionali che potrebbero utilizzarle, eventualmente, contro i contingenti delle missioni internazionali, o anche per attentati in grande stile nelle città occidentali. Del resto, soprattutto nelle attuali “guerre asimmetriche” è sufficiente un ordigno nucleare “artigianale” fatto esplodere nella metropolitana di una capitale europea , o in una città degli Stati Uniti, per sortire effetti devastanti non solo dal punto di vista materiale, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista psicologico, con tutte le conseguenze che ne derivano (vedi l’attentato nella metropolitana di Tokyo nel ’95, con il gas nervino “sarin”).

In tempi recenti una potente spinta al rafforzamento del regime di non proliferazione è venuto dalle iniziative di disarmo delle potenze nucleari. La decisa riduzione di enfasi sulle armi nucleari portata avanti da USA e Russia negli anni 87-94, le iniziative di disarmo e i trattati relativi, il trattato (in preparazione) sulla proibizione totale degli esperimenti nucleari [1] sono tutti elementi che hanno contribuito e contribuiscono a diminuire il ruolo delle armi nucleari nella politica internazionale. Infine il regime di non proliferazione ha beneficiato dal fallimento o dal volontario abbandono di alcuni tentativi di proliferazione. Il Sud Africa aveva costruito 6 bombe rudimentali a fissione del tipo gun-assembly poi successivamente smantellate mentre Brasile ed Argentina hanno abbandonato i loro progetti nucleari.



[1]   Comprehensive Test-Ban Treaty (CTBT) del 1996

sabato 30 marzo 2024

Israele è fra i dieci maggiori esportatori di armi al mondo





  Gli Stati Uniti è il paese che  ha una quota di vendita di oltre il 40% Tranne la Corea del Sud e la Cina, tutti gli altri sette paesi sono europei, considerando Israele nell'orbita europea-occidentale. Questi nell'area medio orientale ha raggiunto questa posizione in relazione al fatto che tutto il mondo arabo è stato ostile alla sua fondazione ed esistenza L'Italia si colloca a metà in questa graduatoria.


 Fonte Le mondi diplomatique, Anno XXXI, n. 1 -  Gennaio 2024.

martedì 19 marzo 2024

Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Relazione 2023 Nota - La Crisi Medio Orientale

 

La Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza della Repubblica, che ogni anno entro il 28 febbraio, deve essere presentata al Parlamento e quindi ai cittadini italiani  riflette diversificata gamma alla sicurezza nazionale, che dalla prospettiva dell’intelligence, sono state alla prioritaria attenzione nel corso del 2023. La Relazione poi evidenzia le principali direttive di intervento lungo le quali gli Organismi informativi  hanno operato a tutela degli interesse nazionali in aderenza ai principi costituzionali.

Si indicano quindi i punti sviluppati nella prima parte della Relazione.

Il Paragrafo 1.1 tratta della Crisi medio-orientale, che apre la serie degli argomenti. (pag 6 -8). che per la nostra Intelligence è la cerisi più grave che minaccia i nostri interessi nazionali

 Segue poi un ampia gamma di informazioni infografiche.

La Relazione è disponibile sui siti governativi e può essere chiesta alla Emeroteca del CESVAM alla email: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org

domenica 10 marzo 2024

Antonio TRogu. Paesi del Clun dell'Atomo. L'Iran

 


Il 1957 e’l'anno zero del nucleare iraniano infatti, come parte del “Atoms for Peace Program” varato sei anni prima, gli Usa di Eisenhower decidono di donare a Teheran, allora alleato, un piccolo reattore alimentato da uranio altamente arrichito. E' l'epoca d'oro nei rapporti tra i due Paesi e per Reza Pahlavi l'Iran è una potenza mondiale in ascesa, una forza egemonica della regione cui non può mancare, come simbolo di potere e progresso, un programma nucleare.

L’Iran ha ratificato il  Non Proliferation Treaty NTP nel 1970 accettando così  di non dotarsi di armi di distruzione di massa e meno di 5 anni dopo crea l'Organizzazione Iraniana per l'Energia Atomica.

Il know how di ingegneri, fisici e tecnici nucleari iraniani in questa prima fase viene acquisito grazie alla collaborazione fornita da vari Paesi tra i quali la Germania che, in particolare, costruisce due reattori nella località di Bushehr.

A seguito della Rivoluzione Iraniana del 1979 finisce ufficialmente la collaborazione con gli Stati Uniti (e finiscono anche i loro rapporti)   ma la tecnologia approdata negli anni in Iran rimane disponibile. Khomeini condanna come immorale il programma nucleare e decide di chiuderlo; i tecnici che si erano formati all'estero lasciano il Paese cancellando definitivamente il sogno di Reza Pahlavi.

Tuttavia, durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988) Khomeini, ritenendo che Saddam Hussein stesse mettendo a punto un programma nucleare, decide segretamente di ripartire con il programma in precedenza abbandonato, con la Germania che lo aiuta a rimettere in funzione i reattori di Bushehr , danneggiati dai bombardamenti.

Nel 1984 gli Stati Uniti iscrivono l'Iran nella lista degli Stati terroristi e nel 1992 convincono Francia, Germania, Spagna, India e Argentina a non vendere tecnologia e materiale all'Iran. Il know how arriva ora dal Pakistan (da Abdul Qadeer Khan [1]), dalla Libia e dalla Corea del Nord.

 Nell'agosto 1992, i governi di Russia e Iran firmarono un accordo sulla costruzione della centrale nucleare e nel gennaio 1995 stipulano un contratto per completare la costruzione della prima centrale elettrica dell’impianto di Bushehr. I reattori di Bushehr sono del tipo meno pericoloso, ad acqua leggera. In base al contratto tra le agenzie nucleari della Russia e dell’Iran, i russi si erano impegnati a fornire tutto il materiale fissile per i reattori e a riportare in patria il combustibile spento (cioè l’uranio utilizzato nei reattori) per lo stoccaggio o il riprocessamento.

Nell’agosto 2002 viene denunciata, da parte di un gruppo di fuoriusciti iraniani del Mojahedin-e Khalq [2], l’esistenza in Iran di infrastrutture nucleari fino ad allora ignote: centrifughe per arricchire l'uranio a Natanz, un potente reattore ad acqua ad Arak. Mentre accetta gli ispettori dell'Aiea, l'Iran firma un accordo per accelerare i lavori a Bushehr. La collaborazione dell'Iran con l'Aiea è controversa, nel febbraio 2003 l’Aiea ha certificato che le infrastrutture nucleari iraniane erano più grandi e sofisticate di quanto assunto in precedenza.

Nel 2006 il Consiglio di Sicurezza Onu approva un pacchetto di sanzioni e i suoi cinque membri permanenti  Usa, Gran Bretagna, Cina, Francia e Russia  proposero una cornice negoziale per spingere l'Iran a interrompere il programma. Seguirono però anni di stallo.

I lavori della centrale di Bushehr sono stati completati nel 2010 e secondo i piani di Teheran avrebbe dovuto rappresentare la prima di una serie di centrali per la produzione di energia. Sempre lo stesso anno nuove sanzioni Onu e UE  sono portate al tavolo di Losanna e riguardano vendita di armamenti, commercio, transazioni finanziarie e, specificamente sul nucleare, il divieto di investire nella tecnologia anche in Paesi terzi.

Il 2013-2015 sono stati due anni di negoziato, di discussioni, passi avanti e arretramenti, fatiche diplomatiche e conquiste che hanno viaggiato tra Ginevra, Vienna e Losanna.

Dopo due anni di intensi negoziati, il 14 luglio del 2015 viene annunciata la firma del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) [3], noto anche come accordo sul nucleare iraniano. L’intesa è stata raggiunta dall’Iran ed il gruppo 5+1 ,ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ( Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti) più la Germania, oltre all’Unione europea.

Obiettivo primario del JCPOA impedire all’Iran di sviluppare una tecnologia tale da permettergli di costruire ordigni atomici consentendogli nel contempo di proseguire il programma volto alla produzione di energia nucleare ad usi civili. Come conseguenza dell’accordo, all’inizio del 2016 sono state rimosse le sanzioni economiche in precedenza imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu ( emanate con la risoluzione 1747) . In base all’intesa, l’Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e di tagliare del 98% quelle di uranio a basso arricchimento, portandole a 300 chilogrammi. Per monitorare e verificare il rispetto dell’accordo da parte dell’Iran, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) avrà regolare accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani. Gli ispettori dell’Aiea potranno accedere ai soli ai siti concordati nel Jcpoa.

L’8 maggio 2018 Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan Of Action, JCPOA). Con un comunicato dai toni estremamente duri, Trump ha annunciato la reintroduzione delle sanzioni secondarie USA precedentemente sospese.  In risposta a questa decisione l'Iran ha cominciato a ridurre gradualmente i suoi obblighi previsti dall'accordo e dopo la crisi scatenata dalla morte del generale Qassem Soleimani , ucciso in un raid aereo statunitense all’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020 ,  ha annunciato di essere pronto a un arricchimento di uranio, che segnerebbe la fine del patto.

Nel mese di marzo i responsabili dell’IAEA hanno affermato  che per la prima volta dal ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare del 2015, il Paese sembra avere accumulato una quantità sufficiente di esafluoruro di uranio, il composto impiegato nei processi di arricchimento, per produrre una singola arma nucleare.

Attualmente non si hanno certezze dalla disponibilità di un’arma nucleare da parte dell’Iran, ma tutti gli analisti concordano che sono ad un passo dall’averla. 



[1]  ingegnere pakistano, figura chiave nel programma pakistano di armi nucleari che è stato anche coinvolto per decenni in un mercato nero di tecnologia nucleare e know-how tra cui centrifughe per l' arricchimento dell'uranio , progetti di testate nucleari , missili ed esperienza venduti o scambiati con l'Iran, la Corea del Nord, la Libia

[2] Mojahedin del Popolo Iraniano o Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran o Mojahedin-e Khalq è la denominazione di un partito politico iraniano, tra i più attivi nell'opposizione al regime teocratico che ha preso il potere in Iran successivamente alla rivoluzione del 1979. Inserite nel 1997dagli Stati Uniti nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere,  furono rimosse dalla “black list”, nonostante l’organizzazione fosse considerata terrorista non solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione europea, Gran Bretagna e Canada

[3] Il Piano d'azione comune congiunto (JCPOA) è un accordo dettagliato di 159 pagine con cinque allegati raggiunti dall'Iran e dal P5 + 1 (Cina Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) il 14 luglio 2015 L'accordo nucleare è stato approvato dalla risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, adottata il 20 luglio 2015. Il rispetto da parte dell'Iran delle disposizioni relative al nucleare del JCPOA dovrà essere verificato dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) in base a determinati requisiti stabiliti nella l'accordo.

 

 

sabato 10 febbraio 2024

Il conflitto Arabo-Israelianao dal 1948 ad oggi

               TESI DI LAUREA


                                                                     Premessa

Ci sono quelli, tra cui i politici, che ritengono che gli storici non dovrebbero insegnare o scrivere su eventi e persone contemporanei, molti dei quali vivono ancora, a causa della difficoltà di trattare tali questioni con una prospettiva storica, e che è giusto fare qualche distinzione tra lo studio della storia e lo studio dell’attualità. I sostenitori di questa visione sembrano non essere consapevoli del concetto di storia contemporanea a cui è dedicata questa serie, secondo cui la storia del recente passato può e deve essere scritta con una certa obiettività. Mentre i ricordi della Seconda Guerra Mondiale si allontanano, è sicuramente giunto il momento di mettere in prospettiva la storia del dopoguerra che ha plasmato tutte le nostre vite, indipendentemente dal fatto che siamo nati negli anni Quaranta o Settanta. Molti paesi, tra cui la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania, consentono l’accesso ai propri documenti pubblici in base a una regola trentennale, aprendo gran parte del periodo postbellico alla ricerca d’archivio. Gli eventi più recenti, i diari, le memorie e le inchieste di giornali e televisione, confermano l'opinione del famoso storico Sir Lewis Namier secondo cui tutti i segreti sono stampati a condizione che si sappia dove cercarli. Gli storici contemporanei hanno anche la possibilità, negata agli storici dei periodi precedenti, di intervistare i partecipanti agli eventi che stanno analizzando. Il problema che deve affrontare lo storico contemporaneo è, se non altro, l’imbarazzo della ricchezza. In ogni caso, la natura e la portata dei cambiamenti mondiali a partire dalla fine degli anni ‘80 hanno chiaramente segnalato la necessità di una discussione concisa dei principali temi della storia post-1945. Per molti di noi la cosa difficile da comprendere è quanto drammaticamente sia cambiato il mondo negli ultimi anni: la fine della Guerra Fredda e dell’egemonia sovietica sull’Europa orientale; il crollo dell'Unione Sovietica e del comunismo russo; l'unificazione della Germania; il ritmo dell'integrazione nell'Unione europea; la disintegrazione della Jugoslavia; turbolenze politiche ed economiche nel sud-est asiatico; la riconciliazione della Cina comunista con il capitalismo dei consumi; il vacillante progresso economico del Giappone.

                                                                                           

Dott. Nicola Angelo Espinoza Pastrana   

La Tesi è presso l'Emeroteca del CESVAM ed è consultabile solo dietro permesso dell'Autore                            

venerdì 19 gennaio 2024

Sviluppo ed utilizzo degli UAVs nell'area del Golfo Persico

 Tesi di Laurea

Giuseppe Cozzi

LO SCENARIO GEOPOLITICO DI RIFERIMENTO DEL GOLFO PERSICO

 

LO STRETTO DI HORMUZ E LA GEOPOLITICA TURBOLENTA DEL GOLFO

 

Lo Stretto di Hormuz è uno dei più importanti crocevia per i traffici commerciali mondiali e rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto di petrolio, via mare, dal Medioriente verso la maggior parte dei Paesi del mondo. Esso si estende per circa 60 miglia nautiche in lunghezza ed è circondato da Iran, Oman ed Emirati Arabi Uniti.

Il tratto di mare più stretto è lungo circa 31 chilometri ed è compreso fra Iran e il Sultanato dell’Oman, i quali si contendono il controllo del traffico marittimo, dal momento che lo schema di separazione del traffico, quindi il tratto navigabile dello Stretto, si colloca all’interno delle acque territoriali dei due Paesi. Lo Stretto è l’unica via che permette l’accesso dal Golfo Persico verso l’Oceano Indiano e, quindi, per tutti i mari del mondo.

Questo piccolo spazio di mare costituisce una delle rotte strategiche più rilevanti al mondo in quanto consente ai produttori del Medio Oriente di spedire il greggio, attraverso l’utilizzo di idonee petroliere, ai Paesi consumatori di Asia, Europa e Nord America. Costellato di isolette rivendicate da Iran ed Emirati Arabi Uniti, è l’unica rotta verso l’oceano aperto anche per un terzo del gas naturale liquefatto del mondo. Infatti, secondo i dati di U.S. Energy Information Administration (EIA), nel 2015 attraverso lo Stretto sono passati circa 17 milioni di barili di petrolio al giorno, pari al 30% di tutto il greggio trasportato per mare durante quell’anno mentre nel 2016 i flussi totali attraverso lo Stretto di Hormuz sono aumentati fino a raggiungere il livello record di 18,5 milioni di barili al giorno[1]. Nel 2020, ha avuto un volume di scambi di petrolio di 18 milioni di barili al giorno, pari a quasi il 50% del volume totale degli scambi di petrolio via mare per quell’anno[2].

Per quanto attiene al nome “Golfo Persico”, o per alcuni “Golfo Arabico” a seconda dalla sponda dove ci si trovi, è stata peraltro oggetto di diverse dispute. L’aggettivo “Persico”, ovvero iraniano, è stato contestato da molti Paesi arabi (tra cui Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait) fin dagli anni ’60 dello scorso secolo, non solo per la rivalità fra Iran e alcuni Stati arabi ma anche per il crescente senso di nazionalismo di tali entità statuali che si è avuto dalla seconda metà del ‘900. Per questo motivo esso è appellato “Golfo Arabico” dalla maggior parte degli Stati della regione anche se, per motivi di praticità e semplicità, durante il corso dell’elaborato appelleremo l’area come “Golfo Persico”.

La regione del Golfo Persico, è stata un’area di estremo interesse e di indubbia civiltà fin dai tempi antichi. Conosciuta dai più blasonati navigatori europei, questa regione, ancor prima della scoperta del petrolio in Iran nel 1908, era importante sicuramente per l’attività di pesca tramite la tipica imbarcazione araba conosciuta con il nome di dau (in inglese “dhow”), il commercio di perle, l’allevamento di dromedari e cammelli e la coltivazione del dattero. Dopo la prima metà del ‘900, a partire dagli anni ’50, l’economia regionale ha subito un radicale cambiamento grazie alla produzione ed esportazione di greggio in tutto il mondo da parte dei Paesi circostanti. Oggigiorno gli scali marittimi più importanti sono i porti di Khārg Island in Iran, Kuwait City, Al-Dammām in Arabia Saudita, Manama in Bahrain, Port Rāshid negli Emirati Arabi Uniti.

La regione è stata sempre in continuo fermento: il bacino di mare ristretto, la posizione geografica delle numerose isole nel Golfo, unitamente al proprio rendimento in termini di risorse energetiche, ha portato, nel corso degli anni, a numerose controversie legali tra gli Stati contendenti. Alcuni esempi:

-       le isole di Farsi e Arabi, situate nell’area centrale del Golfo, sono state oggetto di lunghe controversie da parte di Iran e Arabia Saudita quando, nel 1986 le parti hanno riconosciuto mutualmente la sovranità iraniana su Farsi e saudita su Arabi.

-       nel 2010 la compagnia petrolifera di stato iraniana ha ufficialmente “dato inizio all’estrazione di petrolio dal giacimento dell’isola di Hengan, imponente risorsa di greggio e gas naturale scoperta nel 1975”[3]. Tale isola, che si trova a circa 70 km al largo delle coste iraniane vicino lo Stretto di Hormuz, è stata oggetto di controversia legale sulla precisa definizione di Zona Economica Esclusiva (ZEE).

-       il contenzioso in corso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le isole di Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri.

Per quanto afferisce alla presenza delle ingenti quantità di petrolio e gas naturale ovvero di riserve energetiche nella regione, questo è stato motivo di continua competizione e numerosi conflitti nel corso dei tempi. Tra i più importanti va ricordato sicuramente la sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni ’80, la cosiddetta “Prima guerra del Golfo” dei primi anni ’90 (quando il dittatore iracheno Saddam Hussein ha cercato di occupare e impossessarsi del Kuwait e del proprio petrolio) e la “Seconda guerra del Golfo”, che ha visto l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. In seguito agli esiti della Prima guerra del Golfo nel 1990, il Dipartimento della Difesa americano decise di dislocare una flotta (la Quinta), con sede a Manama (Bahrein), che avesse la responsabilità sul Golfo Persico, Mar Arabico, Mar Rosso e parte dell’Oceano Indiano lungo la costa orientale dell’Africa, con lo scopo di proteggere le vie marittime ed i traffici ad esse collegati.

A seguito di un periodo di precaria stabilità regionale, nel giugno 2019 la situazione rischiava di precipitare, quando, nel Golfo dell’Oman, due petroliere andarono a fuoco e gli Stati Uniti accusarono l’Iran dell’incidente. In tale occasione, Teheran minacciò la chiusura dello Stretto, che avrebbe comportato ritardi e costi di spedizione più elevati per i beni trasportati.

Infine, nel maggio del 2022, la Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC), la forza militare più potente del paese, ha sequestrato due petroliere greche che navigavano nel Golfo Persico. Il sequestro sarebbe stata una ritorsione per la confisca di una petroliera iraniana avvenuta in acque greche nell’aprile 2022, che secondo l’Iran sarebbe stata ordinata dagli Stati Uniti per la violazione delle sanzioni che vietano all’Iran la vendita di petrolio nei paesi dell’Unione Europea. Le due navi mercantili greche sono state rilasciate nel novembre 2022 a seguito di un lungo e complicato sforzo diplomatico.

Nonostante le ricorrenti tensioni nell’area, il metodo di trasporto più conveniente rimane ad oggi quello marittimo e lo Stretto di Hormuz resta un’arteria vitale per i principali esportatori di petrolio nella regione del Golfo, le cui economie si reggono sugli idrocarburi. Solo qualche anno fa, nel 2018, l’Arabia Saudita ha inviato circa 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo Stretto, l’Iraq più di 3,4 milioni, gli Emirati Arabi Uniti quasi 2,7 milioni e il Kuwait poco più di 2 milioni[4]. Anche per l’Iran è molto importante questa rotta, principalmente per le sue esportazioni di greggio (peraltro sottoposte a misure di embargo da parte degli USA che limitano anche gli acquisti di vari Paesi alleati). Il Qatar, che risulta essere il maggiore produttore mondiale di gas naturale liquefatto, lo esporta quasi tutto attraverso Hormuz (la restante parte tramite via terrestre).

Con il passare degli anni, infatti, la centralità commerciale di questa rotta è cresciuta sempre più, soprattutto con l’istaurarsi di un collegamento economico con le più blasonate economie asiatiche. La maggior parte del petrolio che ha attraversato lo stretto nel 2018 è andato in Cina, Giappone, Corea del Sud e India. Anche gli Stati Uniti hanno importato quasi 1,4 milioni di barili al giorno tramite questa rotta e l’Europa ne resta dipendente.

Sebbene lo Stretto di Hormuz risulta essere il percorso più utilizzato per il trasporto di greggio fuori dal Golfo, negli ultimi anni gli Stati costieri hanno costruito diversi oleodotti terrestri per lo stesso fine. E’ il caso dell’oleodotto saudita, il quale attraverso il Mar Rosso, con una capacità di circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno costruito un oleodotto terrestre che può trasportare circa 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno lungo la costa. Infine, è presente anche un altro oleodotto che può trasportare il petrolio iracheno fino alla costa mediterranea. L’efficienza di questi sistemi alternativi non risulta essere all’avanguardia e molte sono le avarie che si riscontrano giornalmente ma, soprattutto, non riescono a trasportare tutto il petrolio che può essere spostato su una nave.

Negli ultimi anni poi, si è assistito ad un graduale inserimento di un altro attore fondamentale nei giochi regionali, la Cina. La strategia di Pechino per il Golfo Persico si basa sulla costruzione di legami economici con tutti gli attori regionali, perseguendo un approccio apolitico e neutrale con questi Paesi. La Cina ha infatti estremo bisogno delle risorse energetiche del Golfo e punta anche alla sua ambiziosa espansione attraverso la Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che intende connettere La Cina al Golfo Persico, al Mar Arabico, al Mar Rosso e al Mediterraneo.

La Tesi è disponibile presso la Emeroteca del CESVAM, consultabile con l'autorizzazione dell'Autore.

[1] World oil transit chokepoints, (2019) https://www.eia.gov

[2] Strait of Hormuz, (2022), in www.statista.com

[3] Al via l’estrazione di greggio sull’isola di Hengam, (2011), in https://iran.it

[4] Lo stretto di Hormuz e la geopolitica turbolenta del Golfo Persico, (2021), in https://aspeniaonline.it


mercoledì 10 gennaio 2024

Antonio Trogu Concetto di deterrenza nucleare

 

Concetto di deterrenza

L'uso della violenza nei rapporti fra gli stati è stato tradizionalmente visto come lo strumento per distruggere la forza militare dell'avversario e poter disporre delle sue popolazioni. Oggi invece acquista un'importanza sempre crescente un altro uso della violenza: la minaccia di gravi e insostenibili danni alle popolazioni per costringerle alla resa, o comunque spingerle verso determinate decisioni. Questi sistemi sono stati largamente usati fin dai tempi più antichi, ma diventano predominanti nei rapporti di forza nel mondo attuale: dalle lotte fra gang rivali, al terrorismo della guerriglia, al ricatto atomico. In particolare la presenza del ricatto atomico, con le sue apocalittiche implicazioni tende a ispirare una istintiva repulsione verso un tipo di guerra in cui le popolazioni non sono che ostaggi reciproci nelle mani dei contendenti. Teoricamente nessun soggetto politico fa la guerra per la guerra, ma per conseguire obiettivi politici, cioè per creare una situazione di pace che ritiene conveniente. Si fa ricorso alle armi quando si ritiene più opportuno impiegarle che astenersi dal farlo ma le armi sono utili anche se non vengono impiegate. Con riguardo al nucleare l'atteggiamento più razionale, per quanto spiacevole, sembra essere quello di pensare razionalmente a come l'immensa forza distruttiva del ricatto atomico possa essere controllata, usata consapevolmente, resa sempre più flessibile. Thomas C.  Schelling [1] tenta quindi di elaborare delle «regole» coscienti di condotta perché in qualsiasi situazione vi sia sempre un'alternativa all'olocausto totale.[2] Si tratta di uno sforzo originale teso a definire le modalità di un negoziato permanente tra le superpotenze, la cui posta in gioco non è tanto il successo dell'uno o dell'altro blocco, quanta la sopravvivenza della civiltà. Un nuovo linguaggio tra le potenze che prende corpo; un linguaggio in cui il significato delle azioni e delle armi è a volte più importante di quello delle parole un linguaggio  in cui avere tempo, o dare tempo all'avversario di rispondere, può essere vitale. Un contesto in cui la segretezza ha un senso del tutto nuovo, e in cui il fatto che l'avversario «capisca» e sia bene informato è nel nostro stesso interesse. La teoria della deterrenza e della compellenza (Schelling, 1966) si fonda proprio sul paradosso che l'efficacia e quindi l'utilità della forza è direttamente proporzionale alla potenzialità e inversamente proporzionale all'effettività del suo impiego.

A carattere generale vediamo ora gli aspetti importanti della strategia della deterrenza evidenziati da Raymond Aron [3]:

         La deterrenza è al contempo di carattere offensivo e difensivo, convertendo una tattica offensiva (rappresaglia) in una strategia difensiva;

         “La dissuasione dipende tanto dai mezzi materiali di cui dispone lo stato che vuol fermarne un altro, quanto dalla risolutezza che lo stato oggetto di dissuasione attribuisce allo stato che lo minaccia di una sanzione”;

         È importante che il potenziale attaccante possieda la certezza (o almeno un considerevole  dubbio) che le minacce del dissuasore saranno realmente attuate in caso di necessità

Ne consegue l’importanza della percezione dell’avversario, nella considerazione di quanto le potenziali azioni di deterrenza vengono considerate sufficienti a dissuadere

Le relazioni tra stati sono state e sono ancora caratterizzate da un rapporto di deterrenza; l’avversario è dissuaso dall’attaccare perché teme la risposta dello stato attaccato, la quale può concretarsi in una sconfitta per l’attaccante o in un’azione punitiva (rappresaglia) i cui costi per l’attaccante risulterebbero superiori ai benefici derivanti dall’attacco.

La tipologia classica della deterrenza si basa su tre fattori posti in alternativa:

         Deterrenza per negazione all’avversario di benefici (timore della sconfitta);

         Deterrenza attraverso l’imposizione all’avversario di costi eccedenti i benefici (timore della rappresaglia). Tale aspetto riguarda sia le circostanze nel corso della guerra, sia quelle esterne alla guerra stessa;

         Deterrenza in relazione agli attori: diretta, quando riguarda i due soggetti coinvolti; indiretta o estesa, quando la minaccia dissuasiva di rappresaglia implica la presenza di stati terzi, dei quali lo stato dissuasore deve in qualche modo garantire la protezione (“ombrello nucleare”).

          



[1] Economista americano che ha condiviso il premio Nobel 2005 per le scienze economiche con Robert J. Aumann  e’ specializzato nell'applicazione della teoria dei giochi nei casi in cui gli avversari devono interagire ripetutamente

[2] Thomas C. Schelling e la politica di Brinkmanship: una strategia del conflitto come applicazione della teoria dei giochi

[3] Raymond Aron Pace e guerra tra le nazioni   Edizioni di Comunità 1983

 

giovedì 30 novembre 2023

Public Choise e Visone Strategica

 


Ten. cpl. Art Pe. Sergio Benedetto  Sabetta

                                                                                                            

            Nel determinare il rapporto tra singole scelte e politiche pubbliche si parte dal presupposto del singolo quale essere economico, teso alla massimizzazione della propria utilità, per studiare come le preferenze individuali si trasformino in scelte pubbliche.

            Gli attori coinvolti nel processo decisionale sono: gli elettori, gli eletti, i funzionari pubblici, i partiti politici e i gruppi di pressione. Ciascun attore persegue obiettivi distinti, secondo proprie logiche.

            La funzione di utilità degli elettori è riferita alla quantità di beni e servizi acquisibili, per questo hanno a disposizione oltre al voto i movimenti di pressione, di protesta e la possibilità di spostarsi nella giurisdizione di spesa preferita, mentre il politico agisce per la rielezione e in questo tende a massimizzare i voti avvicinandosi all’elettorato mediano.

            Da queste semplici premesse si intuisce la complessità del processo decisionale in tema ambientale, se solo si tengono presenti gli effetti collettivi dell’esternalità e le relative azioni in spesa pubblica, determinazioni di criteri standard e forniture di beni.

            Dobbiamo inoltre considerare i diversi livelli di decisione che vengono ad interagire, sia a livello locale che statale e sovranazionale.

            La regola dell’unanimità sarebbe la migliore nel raggiungere un’allocazione delle risorse pareto-efficiente, tuttavia questa nella sua possibile realizzazione è strettamente legata all’ampiezza della collettività, diventando sempre più difficile con l’allargarsi della base decisionale, in cui prevalgono, tra l’altro, comportamenti strategici.

            Anche la regola della maggioranza qualificata presenta l’inconveniente di lunghe trattative, tanto maggiori e difficili quanto più è elevata la maggioranza richiesta, inoltre la natura di bene pubblico di molte risorse ambientali può spingere una minoranza interessata e compatta a indurre una maggioranza scarsamente interessata su alternative meno efficienti, classico il problema del climate change.

            Se è chiaro il vantaggio derivante dalla scelta secondo il principio dell’unanimità, come evidenziato da Knut Wickell (1986) con l’imposta di scopo per il finanziamento di ciascun bene pubblico (nuovo principio della tassazione), vi è tuttavia il problema della corretta indicazione delle preferenze individuali, prevalendo comportamenti opportunistici.

            Diventa quindi non utilizzabile l’introduzione del sistema dei prezzi, proprio del mercato privato, nella scelta delle possibili opzioni secondo il metodo dell’equilibrio di Lindhal (prezzo-imposta).

            Considerando che maggiore è la percentuale di voti richiesti e più ci si avvicina alle condizioni di efficienza paretiana, ma altrettanto aumentano i costi, occorre determinare un trade-off tra i due termini.

            Secondo la regola di Buchanan e Tullock (1962) la percentuale di votanti costituente la maggioranza ottimale è il punto in cui la somma dei costi esterni e dei costi della decisione raggiunge il minimo, naturalmente la regola ottima cambierà a seconda dei casi, essendo che costi esterni variano con la natura delle decisioni e le caratteristiche sociali della collettività interessata.

            Risulta pertanto un grosso ostacolo per il modello teorico di Buchanan e Tullock la conoscenza delle funzioni di costo, tuttavia tale modello ha il merito di avere evidenziato il problema dei costi relativi a ciascuna regola.

            Occorre quindi distinguere tra scelte costituzionali e non costituzionali, dove per il primo occorre una maggioranza tendente all’unanimità, mentre nel voto a maggioranza il risultato tende alle preferenze dell’elettore mediano, vi è comunque il problema di conoscere i fattori che determinano tali preferenze.

            Tuttavia non sempre il voto a maggioranza favorisce il raggiungimento di una decisione stabile (paradosso del voto a maggioranza), indipendentemente dall’ordine in cui sono poste a votazione le alternative se si è in presenza di alternative estreme.

            Inoltre quando le scelte riguardano più beni pubblici o diversi progetti si possono verificare maggioranze cicliche, lo stesso dicasi in presenza di questioni redistributive.

            La regola della maggioranza, se da una parte permette una scelta tra diverse alternative, dall’altra non permette di rilevare l’intensità delle preferenze, così che una maggioranza poco interessata può imporsi su una minoranza molto interessata alla scelta.

            Si è pensato di ricorrere al meccanismo del voto a punteggi ma questo favorisce i comportamenti strategici allontananti dall’ottimo paretiano, il problema delle intensità delle preferenze è stato risolto con il ricorso al commercio dei voti (Logrolling).

            Qui vi è un vicendevole appoggio a seconda del problema in discussione, tuttavia se questo permette di considerare l’intensità delle preferenze, facilita anche il prevalere degli interessi particolari con il ridurre il benessere della collettività.

            Si dimostra veritiero il teorema dell’impossibilità di Arrow  (1951) per cui è impossibile definire una regola di scelta collettiva che soddisfi tutte le seguenti proprietà:

1.     Principio di Pareto;

2.     Indipendenza da alternative irrilevanti;

3.     Dominio non ristretto e non dittatoriale.

Emergono quindi chiaramente le forti spinte lobbistiche che in molti casi stanno alla base di alcune scelte economiche,  anche ambientali, sia negli interventi in politica estera che sul territorio, come sulla mobilità o  più semplicemente sul cibo e sull’energia, spinte che rientrano in una visione strategica.

Colossali interessi che possono spingere attraverso campagne mediatiche verso falsi scopi, dissipando risorse e tempo, provocando magari ulteriori danni.

Walter Lippman afferma che la teoria democratica nell’allargare il diritto di voto diventa una costruzione fondata sulla sabbia essendo i cittadini immaturi, l’unica possibilità è un “ufficio di intelligenza ( …) gestito solo da una classe specializzata” che nel perseguire gli interessi comuni eluda “in larga parte l’opinione pubblica” ( F. Petroni, Disincanto americano,109, il “ Il bluff globale”, Limes 4/2023).

I cambiamenti avvengono a cicli economici, sociali ed istituzionali, attualmente questi si sovrappongono, facendo pensare ad un possibile fallimento della capacità di dissuasione e di gestione di un progetto strategico da parte degli U.S.A., questo anche se la strategia estera possiede una logica più stabile, determinata dai rapporti internazionali, rispetto alla politica interna (G. Friedman, Gli Stati Uniti sono prossimi ad un collasso interno, 113 – 118, in “Il bluff globale”, Limes 4/2023).

 

Bibliografia

·       Brosio G., Economia e finanza pubblica, Carocci 1999.