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Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note.Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato.Parametrazione a 100 riferito al Medio Oriente. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
martedì 30 aprile 2024
sabato 20 aprile 2024
Antonio Trogu. Produzione e sviluppo nucleare, proliferazione verticale e orizzontale
Produzione e sviluppo, proliferazione verticale e
orizzontale
Nel ventesimo secolo, Stati Uniti e Unione Sovietica intrapresero una corsa al
riarmo basata sulla produzione e sullo sviluppo di sempre più potenti armi
nucleari. Nell'immediato dopoguerra al termine della seconda
guerra mondiale,
gli Stati Uniti erano inferiori ai sovietici nel campo della missilistica a
medio raggio, ma recuperarono il divario tecnologico con il lavoro di
scienziati tedeschi sopravvissuti al collasso della Germania nazista. Di
contro, l'URSS indirizzò le forze della sua economia pianificata nella
direzione della corsa al riarmo e con lo sviluppo del missile SS-18 alla
fine degli anni settanta, raggiunse la supposta capacità
di sferrare un "primo attacco" agli occidentali con possibilità di
successo.
Al culmine della corsa agli
armamenti, a cavallo tra il 1960 e il 1970, Stati Uniti e Unione Sovietica arrivarono a spendere ciascuna
tra i 70 e gli 80 miliardi di dollari all'anno in armamenti. L'economia degli
Stati Uniti si rivelò la sola in grado di sostenere lo sforzo, non essendo
impegnata nella ricostruzione grazie alla sostanziale assenza di combattimenti
sul territorio metropolitano americano. Al contrario, l'Unione Sovietica, le
cui infrastrutture avevano subito estesi danni durante il conflitto, non era in
grado di reggere il confronto indefinitamente; in aggiunta uno sforzo economico
prolungato avrebbe ridotto la disponibilità di beni di consumo primari per i
suoi cittadini. Gli scompensi causati dalla competizione per la corsa agli
armamenti con gli Stati Uniti, crearono grossi problemi economici durante il
tentativo del leader sovietico Michail
Gorbaciov di
mettere in atto la sua idea di konversiya, la transizione verso
una economia
mista, e accelerò il
collasso dell'Unione Sovietica. Poiché le due superpotenze , piuttosto che seguire un
piano predeterminato si impegnavano meramente a competere l'una contro l'altra
nell'accumulare armamenti, entrambe presto raggiunsero una capacità di
distruzione enormemente superiore a quella necessaria per sconfiggere
l'avversario.
Accanto
alla proliferazione orizzontale, ossia all’ingresso di nuovi membri nel gruppo
nucleare, si parla anche di proliferazione verticale, cioè l’aumento e
l’ammodernamento degli arsenali. Oltre alle bombe A e H, sono state sviluppate
la bomba al neutrone (bomba N), che sprigiona la maggior parte della sua
energia sotto forma di radiazioni, e la bomba al cobalto (bomba gamma o G), in
cui, al momento dell’esplosione, i neutroni prodotti si uniscono al cobalto,
forte emettitore di raggi gamma. Sono state poi progettate le bombe sporche (o
armi radiologiche), costituite da materiale radioattivo non fissile (che quindi
non può esplodere) trattato in modo da essere molto volatile e associato a una
carica esplosiva per disperdere il materiale radioattivo nell'ambiente,
contaminando cose e persone. Accanto a queste è già in sperimentazione l’utilizzo
di bombe atomiche miniaturizzate, una nuova generazione di testate nucleari di
bassa potenza (low yield warheads o mini-nukes).
La proliferazione orizzontale di armi nucleari e, in
generale di distruzione di massa, identifica nel Terzo Mondo un “triplice” problema: 1)
rimette in discussione i rapporti di forza con l’Occidente; 2) pone armi
potenzialmente distruttive nelle mani di leader impreparati a controllarne la
gestione; 3) crea il
rischio di acquisizione di tali armi da parte di
organizzazioni terroristiche transnazionali che potrebbero utilizzarle,
eventualmente, contro i contingenti delle missioni internazionali, o anche per
attentati in grande stile nelle città occidentali. Del resto, soprattutto nelle
attuali “guerre asimmetriche” è sufficiente un ordigno nucleare “artigianale”
fatto esplodere nella metropolitana di una capitale europea , o in una città
degli Stati Uniti, per sortire effetti devastanti non solo dal punto di vista
materiale, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista psicologico, con tutte
le conseguenze che ne derivano (vedi l’attentato nella metropolitana di Tokyo
nel ’95, con il gas nervino “sarin”).
In
tempi recenti una potente spinta al rafforzamento del regime di non
proliferazione è venuto dalle iniziative di disarmo delle potenze nucleari. La decisa
riduzione di enfasi sulle armi nucleari portata avanti da USA e Russia negli
anni 87-94, le iniziative di disarmo e i trattati relativi, il trattato (in
preparazione) sulla proibizione totale degli esperimenti nucleari [1]
sono tutti elementi che hanno contribuito e contribuiscono a diminuire il ruolo
delle armi nucleari nella politica internazionale. Infine il regime di non
proliferazione ha beneficiato dal fallimento o dal volontario abbandono di
alcuni tentativi di proliferazione. Il Sud Africa aveva costruito 6 bombe
rudimentali a fissione del tipo gun-assembly poi successivamente smantellate
mentre Brasile ed Argentina hanno abbandonato i loro progetti nucleari.
martedì 9 aprile 2024
sabato 30 marzo 2024
Israele è fra i dieci maggiori esportatori di armi al mondo
Gli Stati Uniti è il paese che ha una quota di vendita di oltre il 40% Tranne la Corea del Sud e la Cina, tutti gli altri sette paesi sono europei, considerando Israele nell'orbita europea-occidentale. Questi nell'area medio orientale ha raggiunto questa posizione in relazione al fatto che tutto il mondo arabo è stato ostile alla sua fondazione ed esistenza L'Italia si colloca a metà in questa graduatoria.
Fonte Le mondi diplomatique, Anno XXXI, n. 1 - Gennaio 2024.
martedì 19 marzo 2024
Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Relazione 2023 Nota - La Crisi Medio Orientale
La Relazione sulla politica dell’informazione
per la sicurezza della Repubblica, che ogni anno entro il 28 febbraio, deve
essere presentata al Parlamento e quindi ai cittadini italiani riflette diversificata gamma alla sicurezza
nazionale, che dalla prospettiva dell’intelligence, sono state alla prioritaria
attenzione nel corso del 2023. La Relazione poi evidenzia le principali
direttive di intervento lungo le quali gli Organismi informativi hanno operato a tutela degli interesse
nazionali in aderenza ai principi costituzionali.
Si indicano quindi i punti
sviluppati nella prima parte della Relazione.
Il Paragrafo 1.1 tratta della Crisi medio-orientale, che apre la serie degli argomenti. (pag 6 -8). che per la nostra Intelligence è la cerisi più grave che minaccia i nostri interessi nazionali
Segue poi
un ampia gamma di informazioni infografiche.
La Relazione è disponibile sui
siti governativi e può essere chiesta alla Emeroteca del CESVAM alla email:
centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
domenica 10 marzo 2024
Antonio TRogu. Paesi del Clun dell'Atomo. L'Iran
Il
1957 e’l'anno zero del nucleare iraniano infatti, come parte del “Atoms for
Peace Program” varato sei anni prima, gli Usa di Eisenhower decidono di donare
a Teheran, allora alleato, un piccolo reattore alimentato da uranio altamente
arrichito. E' l'epoca d'oro nei rapporti tra i due Paesi e per Reza Pahlavi
l'Iran è una potenza mondiale in ascesa, una forza egemonica della regione cui
non può mancare, come simbolo di potere e progresso, un programma nucleare.
L’Iran ha ratificato il Non Proliferation Treaty NTP nel 1970
accettando così di non dotarsi di armi
di distruzione di massa e meno di 5 anni dopo crea l'Organizzazione Iraniana
per l'Energia Atomica.
Il
know how di ingegneri, fisici e tecnici nucleari iraniani in questa prima fase viene
acquisito grazie alla
collaborazione fornita da vari Paesi tra i quali la Germania che, in
particolare, costruisce due reattori
nella località di Bushehr.
A
seguito della Rivoluzione Iraniana del 1979 finisce ufficialmente la
collaborazione con gli Stati Uniti (e finiscono anche i loro rapporti) ma la tecnologia approdata negli anni in Iran
rimane disponibile. Khomeini condanna come immorale il programma nucleare e
decide di chiuderlo; i tecnici che si erano formati all'estero lasciano il
Paese cancellando definitivamente il sogno di Reza Pahlavi.
Tuttavia,
durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988) Khomeini, ritenendo che Saddam Hussein
stesse mettendo a punto un programma nucleare, decide segretamente di ripartire
con il programma in precedenza abbandonato, con la Germania che lo aiuta a
rimettere in funzione i reattori di Bushehr , danneggiati dai bombardamenti.
Nel
1984 gli Stati Uniti iscrivono l'Iran nella lista degli Stati terroristi e nel
1992 convincono Francia, Germania, Spagna, India e Argentina a non vendere
tecnologia e materiale all'Iran. Il know how arriva ora dal Pakistan (da Abdul
Qadeer Khan [1]),
dalla Libia e dalla Corea del Nord.
Nell'agosto
1992, i governi di Russia e Iran firmarono un accordo sulla costruzione della
centrale nucleare e nel gennaio 1995 stipulano un contratto per completare la
costruzione della prima centrale elettrica dell’impianto di
Bushehr. I reattori di
Bushehr sono del tipo meno pericoloso, ad acqua leggera. In base al contratto
tra le agenzie nucleari della Russia e dell’Iran, i russi si erano impegnati a
fornire tutto il materiale fissile per i reattori e a riportare in patria il
combustibile spento (cioè l’uranio utilizzato nei reattori) per lo stoccaggio o
il riprocessamento.
Nell’agosto
2002 viene denunciata, da parte di un gruppo di fuoriusciti iraniani del
Mojahedin-e Khalq [2], l’esistenza in Iran di infrastrutture
nucleari fino ad allora ignote: centrifughe
per arricchire l'uranio a Natanz, un potente reattore ad acqua ad Arak. Mentre
accetta gli ispettori dell'Aiea, l'Iran firma un accordo per accelerare i
lavori a Bushehr. La collaborazione dell'Iran con l'Aiea è controversa, nel
febbraio 2003 l’Aiea ha certificato che le infrastrutture nucleari iraniane
erano più grandi e sofisticate di quanto assunto in precedenza.
Nel
2006 il Consiglio di Sicurezza Onu approva un pacchetto di sanzioni e i suoi cinque
membri permanenti Usa, Gran Bretagna,
Cina, Francia e Russia proposero una
cornice negoziale per spingere l'Iran a interrompere il programma. Seguirono
però anni di stallo.
I
lavori della centrale di
Bushehr sono stati completati nel 2010 e secondo i piani di Teheran avrebbe
dovuto rappresentare la prima di una serie di centrali per la produzione di
energia. Sempre lo stesso anno nuove sanzioni Onu e UE sono
portate al tavolo di Losanna e riguardano vendita di armamenti, commercio,
transazioni finanziarie e, specificamente sul nucleare, il divieto di investire
nella tecnologia anche in Paesi terzi.
Il
2013-2015 sono stati due anni di negoziato, di discussioni, passi avanti e
arretramenti, fatiche diplomatiche e conquiste che hanno viaggiato tra Ginevra,
Vienna e Losanna.
Dopo
due anni di intensi negoziati, il 14 luglio del 2015 viene annunciata la firma
del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) [3],
noto anche come accordo sul nucleare iraniano. L’intesa è stata raggiunta
dall’Iran ed il gruppo 5+1 ,ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu ( Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti) più la
Germania, oltre all’Unione europea.
Obiettivo
primario del JCPOA impedire all’Iran di sviluppare una tecnologia tale da permettergli
di costruire ordigni atomici consentendogli nel contempo di proseguire il
programma volto alla produzione di energia nucleare ad usi civili. Come
conseguenza dell’accordo, all’inizio del 2016 sono state rimosse le sanzioni
economiche in precedenza imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal
Consiglio di sicurezza dell’Onu ( emanate con la risoluzione 1747) . In base all’intesa, l’Iran ha
accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e di
tagliare del 98% quelle di uranio a basso arricchimento, portandole a 300
chilogrammi. Per monitorare e verificare il rispetto dell’accordo da parte
dell’Iran, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) avrà regolare
accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani. Gli ispettori dell’Aiea
potranno accedere ai soli ai siti concordati nel Jcpoa.
L’8 maggio 2018 Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti
dall’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan Of Action, JCPOA).
Con un comunicato dai toni estremamente duri, Trump ha annunciato la
reintroduzione delle sanzioni secondarie USA precedentemente sospese. In risposta a questa decisione l'Iran ha cominciato a
ridurre gradualmente i suoi obblighi previsti dall'accordo e dopo la crisi
scatenata dalla morte del generale Qassem Soleimani , ucciso
in un raid aereo statunitense all’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020 , ha
annunciato di essere pronto a un arricchimento di uranio, che segnerebbe la fine del patto.
Nel mese di marzo i responsabili dell’IAEA hanno affermato che per la prima volta dal ritiro degli Stati
Uniti dall’accordo sul
nucleare del 2015, il Paese sembra avere accumulato una quantità
sufficiente di esafluoruro di uranio, il composto impiegato nei processi di
arricchimento, per produrre una singola arma nucleare.
Attualmente non si
hanno certezze dalla disponibilità di un’arma nucleare da parte dell’Iran, ma
tutti gli analisti concordano che sono ad un passo dall’averla.
[1] ingegnere
pakistano, figura chiave nel programma pakistano di armi nucleari che è stato
anche coinvolto per decenni in un mercato nero di tecnologia nucleare e
know-how tra cui centrifughe per l' arricchimento dell'uranio , progetti
di testate nucleari , missili
ed esperienza venduti o scambiati con l'Iran, la Corea del Nord, la Libia
[2]
Mojahedin
del Popolo Iraniano o Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran o Mojahedin-e
Khalq è la denominazione di un partito politico iraniano, tra i più attivi
nell'opposizione al regime teocratico che ha preso il potere in Iran
successivamente alla rivoluzione del 1979. Inserite nel 1997dagli Stati Uniti nell’elenco
delle organizzazioni
terroristiche straniere, furono rimosse
dalla “black list”, nonostante l’organizzazione fosse considerata terrorista non
solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione europea, Gran Bretagna e Canada
[3]
Il Piano d'azione comune congiunto (JCPOA) è un
accordo dettagliato di 159 pagine con cinque allegati raggiunti dall'Iran e dal
P5 + 1 (Cina Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) il 14 luglio
2015 L'accordo nucleare è stato approvato dalla risoluzione 2231 del Consiglio
di sicurezza dell'ONU, adottata il 20 luglio 2015. Il rispetto da parte
dell'Iran delle disposizioni relative al nucleare del JCPOA dovrà essere verificato
dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) in base a determinati
requisiti stabiliti nella l'accordo.
giovedì 29 febbraio 2024
sabato 10 febbraio 2024
Il conflitto Arabo-Israelianao dal 1948 ad oggi
TESI DI LAUREA
Premessa
Ci sono quelli, tra cui i politici, che
ritengono che gli storici non dovrebbero insegnare o scrivere su eventi e
persone contemporanei, molti dei quali vivono ancora, a causa della difficoltà
di trattare tali questioni con una prospettiva storica, e che è giusto fare
qualche distinzione tra lo studio della storia e lo studio dell’attualità. I
sostenitori di questa visione sembrano non essere consapevoli del concetto di
storia contemporanea a cui è dedicata questa serie, secondo cui la storia del
recente passato può e deve essere scritta con una certa obiettività. Mentre i
ricordi della Seconda Guerra Mondiale si allontanano, è sicuramente giunto il
momento di mettere in prospettiva la storia del dopoguerra che ha plasmato
tutte le nostre vite, indipendentemente dal fatto che siamo nati negli anni
Quaranta o Settanta. Molti paesi, tra cui la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e
la Germania, consentono l’accesso ai propri documenti pubblici in base a una
regola trentennale, aprendo gran parte del periodo postbellico alla ricerca
d’archivio. Gli eventi più recenti, i diari, le memorie e le inchieste di
giornali e televisione, confermano l'opinione del famoso storico Sir Lewis
Namier secondo cui tutti i segreti sono stampati a condizione che si sappia
dove cercarli. Gli storici contemporanei hanno anche la possibilità, negata
agli storici dei periodi precedenti, di intervistare i partecipanti agli eventi
che stanno analizzando. Il problema che deve affrontare lo storico
contemporaneo è, se non altro, l’imbarazzo della ricchezza. In ogni caso, la
natura e la portata dei cambiamenti mondiali a partire dalla fine degli anni
‘80 hanno chiaramente segnalato la necessità di una discussione concisa dei
principali temi della storia post-1945. Per molti di noi la cosa difficile da
comprendere è quanto drammaticamente sia cambiato il mondo negli ultimi anni:
la fine della Guerra Fredda e dell’egemonia sovietica sull’Europa orientale; il
crollo dell'Unione Sovietica e del comunismo russo; l'unificazione della
Germania; il ritmo dell'integrazione nell'Unione europea; la disintegrazione
della Jugoslavia; turbolenze politiche ed economiche nel sud-est asiatico; la
riconciliazione della Cina comunista con il capitalismo dei consumi; il
vacillante progresso economico del Giappone.
Dott. Nicola Angelo Espinoza Pastrana
mercoledì 31 gennaio 2024
venerdì 19 gennaio 2024
Sviluppo ed utilizzo degli UAVs nell'area del Golfo Persico
Tesi di Laurea
Giuseppe Cozzi
LO SCENARIO GEOPOLITICO DI RIFERIMENTO DEL GOLFO PERSICO
LO
STRETTO DI HORMUZ E LA GEOPOLITICA TURBOLENTA DEL GOLFO
Lo
Stretto di Hormuz è uno dei più importanti crocevia per i traffici commerciali
mondiali e rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto di petrolio,
via mare, dal Medioriente verso la maggior parte dei Paesi del mondo. Esso si
estende per circa 60 miglia nautiche in lunghezza ed è circondato da Iran, Oman
ed Emirati Arabi Uniti.
Il tratto
di mare più stretto è lungo circa 31 chilometri ed è compreso fra Iran e il
Sultanato dell’Oman, i quali si contendono il controllo del traffico marittimo,
dal momento che lo schema di separazione del traffico, quindi il tratto
navigabile dello Stretto, si colloca all’interno delle acque territoriali dei
due Paesi. Lo Stretto è l’unica via che permette l’accesso dal Golfo Persico
verso l’Oceano Indiano e, quindi, per tutti i mari del mondo.
Questo
piccolo spazio di mare costituisce una delle rotte strategiche più rilevanti al
mondo in quanto consente ai produttori del Medio Oriente di spedire il greggio,
attraverso l’utilizzo di idonee petroliere, ai Paesi consumatori di Asia,
Europa e Nord America. Costellato di isolette rivendicate da Iran ed Emirati
Arabi Uniti, è l’unica rotta verso l’oceano aperto anche per un terzo del gas
naturale liquefatto del mondo. Infatti, secondo i dati di U.S. Energy
Information Administration (EIA), nel 2015 attraverso lo Stretto sono
passati circa 17 milioni di barili di petrolio al giorno, pari al 30% di tutto
il greggio trasportato per mare durante quell’anno mentre nel 2016 i flussi
totali attraverso lo Stretto di Hormuz sono aumentati fino a raggiungere il
livello record di 18,5 milioni di barili al giorno[1].
Nel 2020, ha avuto un volume di scambi di petrolio di 18 milioni di barili al
giorno, pari a quasi il 50% del volume totale degli scambi di petrolio via mare
per quell’anno[2].
Per
quanto attiene al nome “Golfo Persico”, o per alcuni “Golfo Arabico” a seconda
dalla sponda dove ci si trovi, è stata peraltro oggetto di diverse dispute. L’aggettivo
“Persico”, ovvero iraniano, è stato contestato da molti Paesi arabi (tra cui
Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait) fin dagli anni ’60 dello
scorso secolo, non solo per la rivalità fra Iran e alcuni Stati arabi ma anche
per il crescente senso di nazionalismo di tali entità statuali che si è avuto
dalla seconda metà del ‘900. Per questo motivo esso è appellato “Golfo Arabico”
dalla maggior parte degli Stati della regione anche se, per motivi di praticità
e semplicità, durante il corso dell’elaborato appelleremo l’area come “Golfo
Persico”.
La
regione del Golfo Persico, è stata un’area di estremo interesse e di indubbia
civiltà fin dai tempi antichi. Conosciuta dai più blasonati navigatori europei,
questa regione, ancor prima della scoperta del petrolio in Iran nel 1908, era
importante sicuramente per l’attività di pesca tramite la tipica imbarcazione
araba conosciuta con il nome di dau (in inglese “dhow”), il commercio di perle,
l’allevamento di dromedari e cammelli e la coltivazione del dattero. Dopo la
prima metà del ‘900, a partire dagli anni ’50, l’economia regionale ha subito
un radicale cambiamento grazie alla produzione ed esportazione di greggio in
tutto il mondo da parte dei Paesi circostanti. Oggigiorno gli scali marittimi
più importanti sono i porti di Khārg Island in Iran, Kuwait City, Al-Dammām in
Arabia Saudita, Manama in Bahrain, Port Rāshid negli Emirati Arabi Uniti.
La
regione è stata sempre in continuo fermento: il bacino di mare ristretto, la
posizione geografica delle numerose isole nel Golfo, unitamente al proprio
rendimento in termini di risorse energetiche, ha portato, nel corso degli anni,
a numerose controversie legali tra gli Stati contendenti. Alcuni esempi:
- le isole
di Farsi e Arabi, situate nell’area centrale del Golfo, sono state oggetto di
lunghe controversie da parte di Iran e Arabia Saudita quando, nel 1986 le parti
hanno riconosciuto mutualmente la sovranità iraniana su Farsi e saudita su
Arabi.
- nel 2010
la compagnia petrolifera di stato iraniana ha ufficialmente “dato inizio
all’estrazione di petrolio dal giacimento dell’isola di Hengan, imponente
risorsa di greggio e gas naturale scoperta nel 1975”[3].
Tale isola, che si trova a circa 70 km al largo delle coste iraniane vicino lo
Stretto di Hormuz, è stata oggetto di controversia legale sulla precisa
definizione di Zona Economica Esclusiva (ZEE).
- il
contenzioso in corso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le isole di
Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri.
Per
quanto afferisce alla presenza delle ingenti quantità di petrolio e gas
naturale ovvero di riserve energetiche nella regione, questo è stato motivo di
continua competizione e numerosi conflitti nel corso dei tempi. Tra i più
importanti va ricordato sicuramente la sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni
’80, la cosiddetta “Prima guerra del Golfo” dei primi anni ’90 (quando il
dittatore iracheno Saddam Hussein ha cercato di occupare e impossessarsi del
Kuwait e del proprio petrolio) e la “Seconda guerra del Golfo”, che ha visto
l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. In seguito agli esiti della Prima
guerra del Golfo nel 1990, il Dipartimento della Difesa americano decise di
dislocare una flotta (la Quinta), con sede a Manama (Bahrein), che avesse la
responsabilità sul Golfo Persico, Mar Arabico, Mar Rosso e parte dell’Oceano
Indiano lungo la costa orientale dell’Africa, con lo scopo di proteggere le vie
marittime ed i traffici ad esse collegati.
A seguito
di un periodo di precaria stabilità regionale, nel giugno 2019 la situazione
rischiava di precipitare, quando, nel Golfo dell’Oman, due petroliere andarono
a fuoco e gli Stati Uniti accusarono l’Iran dell’incidente. In tale occasione,
Teheran minacciò la chiusura dello Stretto, che avrebbe comportato ritardi e
costi di spedizione più elevati per i beni trasportati.
Infine,
nel maggio del 2022, la Islamic
Revolutionary Guard Corps (IRGC), la forza militare più potente
del paese, ha sequestrato due
petroliere greche che navigavano nel Golfo Persico. Il sequestro sarebbe stata
una ritorsione per la confisca di una petroliera iraniana avvenuta in acque
greche nell’aprile 2022, che secondo l’Iran sarebbe stata ordinata dagli Stati
Uniti per la violazione delle sanzioni che vietano all’Iran la vendita di
petrolio nei paesi dell’Unione Europea. Le due navi mercantili greche sono
state rilasciate nel novembre 2022 a seguito di un lungo e complicato sforzo
diplomatico.
Nonostante
le ricorrenti tensioni nell’area, il metodo di trasporto più conveniente rimane
ad oggi quello marittimo e lo Stretto di Hormuz resta un’arteria vitale per i
principali esportatori di petrolio nella regione del Golfo, le cui economie si
reggono sugli idrocarburi. Solo qualche anno fa, nel 2018, l’Arabia Saudita ha
inviato circa 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo
Stretto, l’Iraq più di 3,4 milioni, gli Emirati Arabi Uniti quasi 2,7 milioni e
il Kuwait poco più di 2 milioni[4].
Anche per l’Iran è molto importante questa rotta, principalmente per le sue
esportazioni di greggio (peraltro sottoposte a misure di embargo da parte degli
USA che limitano anche gli acquisti di vari Paesi alleati). Il Qatar, che
risulta essere il maggiore produttore mondiale di gas naturale liquefatto, lo
esporta quasi tutto attraverso Hormuz (la restante parte tramite via
terrestre).
Con il
passare degli anni, infatti, la centralità commerciale di questa rotta è
cresciuta sempre più, soprattutto con l’istaurarsi di un collegamento economico
con le più blasonate economie asiatiche. La maggior parte del petrolio che ha
attraversato lo stretto nel 2018 è andato in Cina, Giappone, Corea del Sud e
India. Anche gli Stati Uniti hanno importato quasi 1,4 milioni di barili al
giorno tramite questa rotta e l’Europa ne resta dipendente.
Sebbene
lo Stretto di Hormuz risulta essere il percorso più utilizzato per il trasporto
di greggio fuori dal Golfo, negli ultimi anni gli Stati costieri hanno
costruito diversi oleodotti terrestri per lo stesso fine. E’ il caso
dell’oleodotto saudita, il quale attraverso il Mar Rosso, con una capacità di
circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno
costruito un oleodotto terrestre che può trasportare circa 1,5 milioni di
barili di petrolio al giorno lungo la costa. Infine, è presente anche un altro
oleodotto che può trasportare il petrolio iracheno fino alla costa mediterranea.
L’efficienza di questi sistemi alternativi non risulta essere all’avanguardia e
molte sono le avarie che si riscontrano giornalmente ma, soprattutto, non riescono
a trasportare tutto il petrolio che può essere spostato su una nave.
Negli
ultimi anni poi, si è assistito ad un graduale inserimento di un altro attore
fondamentale nei giochi regionali, la Cina. La strategia di Pechino per il
Golfo Persico si basa sulla costruzione di legami economici con tutti gli
attori regionali, perseguendo un approccio apolitico e neutrale con questi
Paesi. La Cina ha infatti estremo bisogno delle risorse energetiche del Golfo e
punta anche alla sua ambiziosa espansione attraverso la Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che
intende connettere La Cina al Golfo Persico, al Mar Arabico, al Mar Rosso e al
Mediterraneo.
[1] World oil
transit chokepoints, (2019) https://www.eia.gov
[2] Strait of Hormuz, (2022), in www.statista.com
[3] Al via l’estrazione di greggio sull’isola di
Hengam, (2011), in https://iran.it
[4] Lo stretto di Hormuz e la geopolitica turbolenta del
Golfo Persico,
(2021), in https://aspeniaonline.it
mercoledì 10 gennaio 2024
Antonio Trogu Concetto di deterrenza nucleare
Concetto di deterrenza
L'uso della violenza nei rapporti fra gli stati è stato tradizionalmente
visto come lo strumento per distruggere la forza militare dell'avversario e
poter disporre delle sue popolazioni. Oggi invece acquista un'importanza sempre
crescente un altro uso della violenza: la minaccia di gravi e insostenibili
danni alle popolazioni per costringerle alla resa, o comunque spingerle verso
determinate decisioni. Questi sistemi sono stati largamente usati fin dai tempi
più antichi, ma diventano predominanti nei rapporti di forza nel mondo attuale:
dalle lotte fra gang rivali, al terrorismo della guerriglia, al ricatto
atomico. In particolare la presenza del ricatto atomico, con le sue
apocalittiche implicazioni tende a ispirare una istintiva repulsione verso un
tipo di guerra in cui le popolazioni non sono che ostaggi reciproci nelle mani
dei contendenti. Teoricamente nessun soggetto politico fa la guerra per la guerra, ma per conseguire
obiettivi politici, cioè per creare una situazione di pace che ritiene
conveniente. Si fa ricorso alle armi quando si ritiene più opportuno impiegarle
che astenersi dal farlo ma le armi sono utili anche se non vengono impiegate.
Con riguardo al nucleare l'atteggiamento più razionale,
per quanto spiacevole, sembra essere quello di pensare razionalmente a come
l'immensa forza distruttiva del ricatto atomico possa essere controllata, usata
consapevolmente, resa sempre più flessibile. Thomas C. Schelling [1] tenta quindi di elaborare
delle «regole» coscienti di condotta perché in qualsiasi situazione vi sia
sempre un'alternativa all'olocausto totale.[2] Si tratta di uno sforzo
originale teso a definire le modalità di un negoziato permanente tra le
superpotenze, la cui posta in gioco non è tanto il successo dell'uno o
dell'altro blocco, quanta la sopravvivenza della civiltà. Un nuovo linguaggio tra
le potenze che prende corpo; un linguaggio in cui il significato delle azioni e
delle armi è a volte più importante di quello delle parole un linguaggio in cui avere tempo, o dare tempo
all'avversario di rispondere, può essere vitale. Un contesto in cui la
segretezza ha un senso del tutto nuovo, e in cui il fatto che l'avversario
«capisca» e sia bene informato è nel nostro stesso interesse. La teoria della deterrenza e della
compellenza (Schelling, 1966) si fonda proprio sul paradosso che l'efficacia e
quindi l'utilità della forza è direttamente proporzionale alla potenzialità e
inversamente proporzionale all'effettività del suo impiego.
A carattere generale vediamo ora gli aspetti importanti della strategia
della deterrenza evidenziati da Raymond Aron [3]:
•
La
deterrenza è al contempo di carattere offensivo e difensivo, convertendo una
tattica offensiva (rappresaglia) in una strategia difensiva;
•
“La
dissuasione dipende tanto dai mezzi materiali di cui dispone lo stato che vuol
fermarne un altro, quanto dalla risolutezza che lo stato oggetto di dissuasione
attribuisce allo stato che lo minaccia di una sanzione”;
•
È
importante che il potenziale attaccante possieda la certezza (o almeno un
considerevole dubbio) che le minacce del
dissuasore saranno realmente attuate in caso di necessità
Ne consegue l’importanza della
percezione dell’avversario, nella considerazione di quanto le potenziali azioni
di deterrenza vengono considerate sufficienti a dissuadere
Le relazioni tra stati sono state e
sono ancora caratterizzate da un rapporto di deterrenza; l’avversario è
dissuaso dall’attaccare perché teme la risposta dello stato attaccato, la quale
può concretarsi in una sconfitta per l’attaccante o in un’azione punitiva
(rappresaglia) i cui costi per l’attaccante risulterebbero superiori ai
benefici derivanti dall’attacco.
La tipologia classica della
deterrenza si basa su tre fattori posti in alternativa:
•
Deterrenza
per negazione all’avversario di benefici (timore della sconfitta);
•
Deterrenza
attraverso l’imposizione all’avversario di costi eccedenti i benefici (timore
della rappresaglia). Tale aspetto riguarda sia le circostanze nel corso della
guerra, sia quelle esterne alla guerra stessa;
•
Deterrenza
in relazione agli attori: diretta, quando riguarda i due soggetti
coinvolti; indiretta o estesa, quando la minaccia dissuasiva di
rappresaglia implica la presenza di stati terzi, dei quali lo stato dissuasore
deve in qualche modo garantire la protezione (“ombrello nucleare”).
•
[1]
Economista
americano che ha condiviso il premio Nobel 2005 per le scienze
economiche con Robert
J. Aumann e’ specializzato nell'applicazione della teoria dei giochi nei
casi in cui gli avversari devono interagire ripetutamente
[2] Thomas C. Schelling e la politica
di Brinkmanship: una strategia del conflitto come applicazione della teoria dei
giochi
[3] Raymond Aron Pace e guerra tra le nazioni Edizioni di Comunità 1983
giovedì 21 dicembre 2023
domenica 10 dicembre 2023
giovedì 30 novembre 2023
Public Choise e Visone Strategica
Ten. cpl. Art Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Nel determinare il rapporto tra singole scelte e politiche pubbliche si
parte dal presupposto del singolo quale essere economico, teso alla
massimizzazione della propria utilità, per studiare come le preferenze
individuali si trasformino in scelte pubbliche.
Gli attori
coinvolti nel processo decisionale sono: gli
elettori, gli eletti, i funzionari
pubblici, i partiti politici e i gruppi di pressione. Ciascun attore
persegue obiettivi distinti, secondo proprie logiche.
La funzione
di utilità degli elettori è riferita alla quantità di beni e servizi
acquisibili, per questo hanno a disposizione oltre al voto i movimenti di
pressione, di protesta e la possibilità di spostarsi nella giurisdizione di
spesa preferita, mentre il politico agisce per la rielezione e in questo tende
a massimizzare i voti avvicinandosi all’elettorato mediano.
Da queste
semplici premesse si intuisce la complessità del processo decisionale in tema
ambientale, se solo si tengono presenti gli effetti collettivi dell’esternalità
e le relative azioni in spesa pubblica, determinazioni di criteri standard e
forniture di beni.
Dobbiamo
inoltre considerare i diversi livelli di decisione che vengono ad interagire,
sia a livello locale che statale e sovranazionale.
La regola
dell’unanimità sarebbe la migliore nel raggiungere un’allocazione delle risorse
pareto-efficiente, tuttavia questa nella sua possibile realizzazione è
strettamente legata all’ampiezza della collettività, diventando sempre più
difficile con l’allargarsi della base decisionale, in cui prevalgono, tra
l’altro, comportamenti strategici.
Anche la
regola della maggioranza qualificata presenta l’inconveniente di lunghe
trattative, tanto maggiori e difficili quanto più è elevata la maggioranza
richiesta, inoltre la natura di bene pubblico di molte risorse ambientali può
spingere una minoranza interessata e compatta a indurre una maggioranza
scarsamente interessata su alternative meno efficienti, classico il problema
del climate change.
Se è chiaro
il vantaggio derivante dalla scelta secondo il principio dell’unanimità, come
evidenziato da Knut Wickell (1986) con l’imposta di scopo
per il finanziamento di ciascun bene pubblico (nuovo principio della tassazione),
vi è tuttavia il problema della corretta indicazione delle preferenze
individuali, prevalendo comportamenti opportunistici.
Diventa
quindi non utilizzabile l’introduzione del sistema dei prezzi, proprio del
mercato privato, nella scelta delle possibili opzioni secondo il metodo
dell’equilibrio di Lindhal (prezzo-imposta).
Considerando
che maggiore è la percentuale di voti richiesti e più ci si avvicina alle
condizioni di efficienza paretiana, ma altrettanto aumentano i costi, occorre
determinare un trade-off tra i due termini.
Secondo la
regola di Buchanan e Tullock (1962)
la percentuale di votanti costituente la maggioranza ottimale è il punto in cui
la somma dei costi esterni e dei costi della decisione raggiunge il minimo,
naturalmente la regola ottima cambierà a seconda dei casi, essendo che costi
esterni variano con la natura delle decisioni e le caratteristiche sociali
della collettività interessata.
Risulta
pertanto un grosso ostacolo per il modello teorico di Buchanan e Tullock la
conoscenza delle funzioni di costo, tuttavia tale modello ha il merito di avere
evidenziato il problema dei costi relativi a ciascuna regola.
Occorre
quindi distinguere tra scelte costituzionali e non costituzionali, dove per il
primo occorre una maggioranza tendente all’unanimità, mentre nel voto a
maggioranza il risultato tende alle preferenze dell’elettore mediano, vi è
comunque il problema di conoscere i fattori che determinano tali preferenze.
Tuttavia non
sempre il voto a maggioranza favorisce il raggiungimento di una decisione
stabile (paradosso del voto a maggioranza), indipendentemente dall’ordine in
cui sono poste a votazione le alternative se si è in presenza di alternative
estreme.
Inoltre
quando le scelte riguardano più beni pubblici o diversi progetti si possono
verificare maggioranze cicliche, lo stesso dicasi in presenza di questioni
redistributive.
La regola
della maggioranza, se da una parte permette una scelta tra diverse alternative,
dall’altra non permette di rilevare l’intensità delle preferenze, così che una
maggioranza poco interessata può imporsi su una minoranza molto interessata
alla scelta.
Si è pensato
di ricorrere al meccanismo del voto a punteggi ma questo favorisce i
comportamenti strategici allontananti dall’ottimo paretiano, il problema delle
intensità delle preferenze è stato risolto con il ricorso al commercio dei voti
(Logrolling).
Qui vi è un
vicendevole appoggio a seconda del problema in discussione, tuttavia se questo
permette di considerare l’intensità delle preferenze, facilita anche il
prevalere degli interessi particolari con il ridurre il benessere della
collettività.
Si dimostra
veritiero il teorema dell’impossibilità di Arrow (1951) per cui è impossibile definire una
regola di scelta collettiva che soddisfi tutte le seguenti proprietà:
1. Principio di Pareto;
2. Indipendenza da alternative irrilevanti;
3. Dominio non ristretto e non dittatoriale.
Emergono quindi chiaramente le forti
spinte lobbistiche che in molti casi stanno alla base di alcune scelte economiche,
anche ambientali, sia negli interventi in
politica estera che sul territorio, come sulla mobilità o più semplicemente sul cibo e sull’energia,
spinte che rientrano in una visione strategica.
Colossali interessi che possono
spingere attraverso campagne mediatiche verso falsi scopi, dissipando risorse e
tempo, provocando magari ulteriori danni.
Walter Lippman afferma
che la teoria democratica nell’allargare il diritto di voto diventa una
costruzione fondata sulla sabbia essendo i cittadini immaturi, l’unica possibilità
è un “ufficio di intelligenza ( …)
gestito solo da una classe specializzata” che nel perseguire gli interessi comuni eluda “in larga parte l’opinione pubblica” ( F. Petroni, Disincanto
americano,109, il “ Il bluff globale”, Limes 4/2023).
I cambiamenti avvengono a cicli
economici, sociali ed istituzionali, attualmente questi si sovrappongono,
facendo pensare ad un possibile fallimento della capacità di dissuasione e di
gestione di un progetto strategico da parte degli U.S.A., questo anche se la
strategia estera possiede una logica più stabile, determinata dai rapporti
internazionali, rispetto alla politica interna (G. Friedman, Gli Stati Uniti sono prossimi ad un collasso interno, 113
– 118, in “Il bluff globale”, Limes 4/2023).
Bibliografia
· Brosio G., Economia e finanza
pubblica, Carocci 1999.